Storie di rinascita. Due scrittori ci narrano il passaggio attraverso la sofferenza. E la speranza

Due racconti del Novecento ci narrano il cammino umano tra la sofferenza, la morte, interiore e fisica, e la rinascita

Storie di rinascita. Due scrittori ci narrano il passaggio attraverso la sofferenza. E la speranza

Due racconti del Novecento ci narrano il cammino umano tra la sofferenza, la morte, interiore e fisica, e la rinascita. Uno è il capolavoro di Gilbert K. Chesterton (1874-1936), “L’uomo che fu giovedì”, la storia di Syme, un giovane poeta, divenuto infiltrato di Scotland Yard all’interno di una banda di anarchici pronta a commettere uno spettacolare attentato, che si trova di fronte ad uno di loro, il quale accusa lui e i “borghesi” di non aver mai sofferto, di essere sempre felici e sorridenti, sazi e sereni. No. Non è così, urla in faccia all’avversario. Ha conosciuto la solitudine, l’abbandono, la paura, come molti di coloro che vivono nella fede la vicinanza a qualcuno che ha sofferto fino al terribile sacrificio della croce. In qualche modo ne ha percorso lo stesso cammino, attraverso la condanna degli scettici e dei materialisti, la sofferenza del Getsemani, la morte interiore e la pace di Dio.
“L’uomo che fu giovedì” esce nel 1908, prima della serie di Padre Brown, ancora prima della conversione al cattolicesimo dello scrittore, e rappresenta un mix di poliziesco, sociologia, ricerca di senso, cronaca. E soprattutto la storia di un cammino quaresimale.
Syme è convinto di essere l’unico infiltrato nel club dei feroci anarchici, la cui identità non è nota e si fanno chiamare con i nomi dei giorni della settimana e conosce l’angoscia della solitudine e della paura. Ecco il motivo del sottotitolo presente solo nella versione originale, “un incubo”.
Scoprirà che le cose non stanno come crede, fino a quando non si troverà coinvolto nell’inseguimento del feroce, misterioso capo che ha il soprannome di Domenica, e che li porterà in uno splendido giardino dove si sta preparando un ricevimento: gli invitati sono proprio gli inseguitori del capo supremo. Il quale, attraverso enigmi e indizi, lentamente rivela la sua vera, inaspettata identità.
Nel risveglio da quel lungo incubo – ma anche rivelazione – Syme riprende, alle prime luci dell’alba, i suoi vagabondaggi, e i suoi occhi si posano su una apparizione che richiama per la sua bellezza quella di Matelda nel Paradiso Terrestre del Purgatorio di Dante: “Là vide la sorella di Gregory, la ragazza dalle chiome d’oro rosso, che recideva lillà prima di colazione, con la sua inconsapevole gravità di fanciulla”.
E il Giardino è ancora una volta il luogo di un altro romanzo di amore, sofferenza, abisso e rinascita. E soprattutto Storia: “Il giardino dei Finzi-Contini”.
Giorgio Bassani (1916-2000) lo dà alle stampe nel 1962: il romanzo, che diventerà film diretto da Vittorio De Sica, si è ispirato in parte alla tragica storia di Silvio Finzi-Magrini, rappresentante della borghesia ebraica di Ferrara finito nell’inferno di un lager tedesco. È un racconto apparentemente d’amore, la storia di due eguali, che proprio per essere simili, troppo, non possono amarsi. Almeno questa è la convinzione di Micòl, la fanciulla amata dal protagonista: in amore non può esserci uguaglianza, pace, tranquillità, ma lotta, sopraffazione, scontro. Il giardino del titolo è anche richiamo archetipico all’Eden, destinato all’interdizione, sia nella Scrittura che nel romanzo, ma nel contempo è il luogo in cui si svolge un innamoramento giovanile, con tutte le sue contraddizioni.
È presente però un altro motivo che ci fa porre “Il giardino dei Finzi-Contini” tra i libri che aiutano durante l’attraversamento della notte dello spirito e della storia: il no di Micòl permette al protagonista di salvarsi nella caccia al diverso per motivi razziali. Quel no gli impedisce la frequentazione di casa Finzi-Contini, ma anche di essere deportato e sparire in un campo di sterminio come accade a tutta la famiglia, Micòl compresa. È come se la fanciulla amata abbia voluto, incarnando la dimensione di guida nel buio notturno, come Matelda, poi Beatrice e colei che raccoglie fiori alla fine del romanzo di Chesterton, aiutare il suo antico amico con il dono prezioso della vita attraverso il dolore della morte e del cammino di rinascita. In una medesima narrazione, amore, morte, storia e cronaca si intrecciano per divenire percorso condiviso, ammonizione paolina per chi attraversa la notte dello spirito: anche nella più cupa oscurità è possibile intuire l’approssimarsi della luce.
Due racconti che ci mostrano come Passione e Risurrezione siano momenti del nostro quotidiano, umano cammino.

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Fonte: Sir