Tossicodipendenza: “Pensiamo insieme il futuro delle comunità”

E’ l’invito rivolto dal Cnca a tutti gli attori pubblici e del privato sociale del sistema dei servizi. Il confronto si terrà il 29 marzo a Roma

Tossicodipendenza: “Pensiamo insieme il futuro delle comunità”

Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca) invita tutti i principali attori del sistema di intervento per le dipendenze a partecipare a un incontro che si terrà a Roma, il 29 marzo prossimo, dal titolo “Comunità e territorio. Innovazione ed evoluzione del sistema delle comunità residenziali per le dipendenze del Cnca”. Rappresentanti dei soggetti pubblici e del terzo settore si confronteranno su cosa sono oggi le comunità terapeutiche per le persone tossicodipendenti e quali sono le prospettive per il futuro.

In tale occasione il Cnca presenterà un proprio documento in cui verrà illustrata la visione delle comunità terapeutiche proposta dalla Federazione a tutti gli attori del sistema dei servizi. Per il Cnca le comunità terapeutiche devono strutturarsi sempre più per assicurare non solo la cura dei sintomi sanitari, ma la maggiore inclusione sociale possibile, rafforzando la capacità delle persone accolte di avere un ruolo sociale attivo e soddisfacente. Una presa in carico di tutti i bisogni della persona che può essere perseguita solo se la comunità terapeutica opera in modo integrato con altri attori della comunità locale ­– servizi sociali e sanitari, Comuni, associazioni, imprese ­– nell’ottica di una responsabilità sociale diffusa che parte dal coinvolgimento della persona accolta e si estende alla comunità territoriale di riferimento, per comporre un percorso che comprenda aspetti sanitari e sociali, di cura e di partecipazione attiva alla vita sociale, attraverso la disponibilità di un alloggio e l’inserimento socio-lavorativo o la salvaguardia del posto di lavoro quando presente.

“Il CNCA è una realtà che, nei suoi quarant’anni di storia, ha visto come protagoniste tante comunità terapeutiche”, dichiara Caterina Pozzi, presidente del Cnca. “Dalle prime esperienze rivolte alle persone dipendenti da eroina, siamo arrivati oggi a una molteplicità di servizi che rispondono a situazioni e bisogni diversi: persone che hanno una dipendenza da cocaina o da più tipi di sostanze, persone che hanno anche una seria problematica psichiatrica, coppie tossicodipendenti con o senza figli, persone provenienti dal carcere… Un’evoluzione dei servizi che è stata sempre mossa da un principio cardine: mettere al centro la persona, il suo progetto di vita, la sua capacità di autodeterminare la propria storia. Anche per questo i percorsi che proponiamo sono flessibili, senza obiettivi predeterminati dall’esterno una volta per tutte. È necessario creare strutture intermedie che diano risposte diverse a bisogni differenti, che accompagnino le persone verso livelli di autonomia diversi,  che ispirino soluzioni nuove: residenzialità leggere, servizi domiciliari, nuove forme di reinserimento lavorativo.”

“Vediamo diversi rischi per il futuro delle comunità”, continua Pozzi. “Il primo è il sostanziale disinvestimento da parte della politica per tutto il sistema dei servizi per le dipendenze. Tanti sono pronti a lanciare allarmi sociali, ma a questo non segue un investimento adeguato in termini di attenzione e risorse per chi quotidianamente è impegnato nel settore dipendenze. Il secondo è legato al fatto che ogni Regione ha stabilito le proprie procedure e standard per l’accreditamento delle comunità terapeutiche. Così abbiamo in Italia ventuno sistemi regionali diversi, che comportano una diversa tutela dei diritti dei cittadini: ci sono regioni in cui sono presenti comunità per coppie tossicodipendenti o madri tossicodipendenti con figli o per persone che hanno anche problemi psichiatrici certificati, e altre regioni in cui queste strutture non sono presenti, costringendo le persone a trasferirsi per avere un aiuto più mirato. L’Intesa sui criteri di sicurezza e qualità delle comunità terapeutiche appena approvata in Conferenza Stato-Regioni, primo atto normativo che definisce criteri sostanzialmente omogenei per quanto riguarda i requisiti di accreditamento delle diverse strutture, è un primo passo nella giusta direzione, ma non prevede nulla in merito alle risorse per attuare quanto indicato nel testo. Il terzo è il rischio sempre presente di pensare le comunità terapeutiche come mera risposta a un problema sanitario, senza farsi carico della persona nel suo complesso. Infine, occorre evitare – come vorrebbero alcuni esponenti politici - che le comunità si trasformino in micro carceri per ospitare le persone tossicodipendenti inserite nel circuito penale. Le comunità non possono diventare luoghi di coercizione.”

I dati sulle comunità terapeutiche 

Il CNCA ha promosso una rilevazione sulle comunità terapeutiche per persone affette da dipendenza da sostanze della propria rete. Hanno risposto 60 organizzazioni socie di 15 regioni. I dati si riferiscono al 31 dicembre 2023. Il numero più alto di organizzazioni che hanno risposto si registra in Piemonte (10), Toscana (9), Lombardia (8), Emilia Romagna (8) e Lazio (5).

Le strutture terapeutiche residenziali risultano essere 151, di cui 34 in Lombardia, 28 in Piemonte, 25 in Emilia Romagna e 19 in Toscana. Se le suddividiamo per tipologia di struttura o servizio (in una stessa struttura può essere presente anche un servizio specializzato di altro tipo), 105 sono di tipo terapeutico-riabilitativo, 19 pedagogico-riabilitativo, 28 dedicate a pazienti con “doppia diagnosi” (tossicodipendenza e disturbo psichiatrico), 22 dedicate a genitori con figli minori o a madri in stato di gravidanza. Il totale delle persone accolte è di 1.773. Di questi ben 390 provengono dal carcere, usufruendo di una misura alternativa alla detenzione.  

Le comunità terapeutiche semi-residenziali sono invece 45, e offrono servizi a 603 persone. La ricettività massima delle diverse strutture residenziali è, nel 59,41% dei casi, fino a 15 persone accolte; nel 39,41% da 16 a 30 persone; solo nell’1,18% delle strutture sopra le 30 persone. A conferma dell’approccio che la Federazione propone, in questo come in altri ambiti, di limitare il numero delle persone accolte nelle strutture residenziali per poter attuare con loro un vero percorso individualizzato e di risposta ai loro molteplici bisogni. Infine, molte delle organizzazioni che gestiscono comunità terapeutiche promuovono altri tipi di servizi per le persone tossicodipendenti o che usano droghe, come unità mobili, drop in, servizi all’interno del carcere, servizi ambulatoriali, supporto abitativo, pronta accoglienza, centri diurni.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)