Un libro su don Gilberto Pozzi, il “partigiano di Dio”

"Il partigiano di Dio". Un libro scritto a quattro mani da Vincenzo Grienti e Gerardo Severino per raccontare la storia (vera) di un sacerdote che arriva in una città e in una comunità parrocchiale in prima linea. Il testo rievoca e ricostruisce la vicenda di don Gilberto Pozzi, parroco dal 1943 al 1945 di Clivio, piccolo centro lombardo in provincia di Varese. Un sacerdote sensibile ai problemi del tempo e che, in stretta collaborazione col maresciallo Cortile, fece parte, anzi di fatto diresse, una rete di protezione per ebrei, resistenti, antifascisti che in quei luoghi di confine fuggivano dalle persecuzioni dei nazisti e dei militi della Repubblica sociale italiana

Un libro su don Gilberto Pozzi, il “partigiano di Dio”

“Il partigiano di Dio”. Un libro scritto a quattro mani da Vincenzo Grienti e Gerardo Severino per raccontare la storia (vera) di un sacerdote che arriva in una città e in una comunità parrocchiale in prima linea. Il testo rievoca e ricostruisce la vicenda di don Gilberto Pozzi, parroco dal 1943 al 1945 di Clivio, piccolo centro lombardo in provincia di Varese. Un sacerdote sensibile ai problemi del tempo e che, in stretta collaborazione col maresciallo Cortile, fece parte, anzi di fatto diresse, una rete di protezione per ebrei, resistenti, antifascisti che in quei luoghi di confine fuggivano dalle persecuzioni dei nazisti e dei militi della Repubblica sociale italiana.

Attorno a loro un vasto gruppo di cliviesi, che non sopportavano le angherie degli occupanti e dei loro accoliti, sensibili invece all’incitazione alla solidarietà nel momento del pericolo che proveniva da quelle due guide, benvolute e autorevoli, della loro comunità. Non dimentichiamoci infatti che nei paesi di confine i finanzieri erano di casa e che la Guardia di Finanza mantenne per quanto possibile una sua autonomia, fino a renderla invisa agli occupanti che appena possibile rimossero i finanzieri, considerati poco fidati, dal servizio attivo sulla linea del confine. Non l’ho dimenticato io, che, bambino ebreo di pochi mesi, potei espatriare in Svizzera coi miei genitori nel novembre 1943 proprio a Clivio, grazie al sostegno dei finanzieri del maresciallo Cortile e degli abitanti che con loro aiutavano chi doveva fuggire per sottrarsi alla persecuzione e alla morte. Anche don Gilberto fu arrestato quando la rete fu scoperta, ma la sua tonaca e l’intervento autorevole del cardinale Schuster valsero a procurargli la liberazione, mentre altra ben tragica sorte sarebbe toccata a Cortile. Allontanato però dalla sua parrocchia, solo a guerra finita don Gilberto poté riprendere il suo ministero tra i suoi fedeli. A distanza di tanti anni è difficile ricostruire con accuratezza storica queste vicende che, insieme a tante altre, compongono il mosaico di quella che fu la vita e la lotta per la sopravvivenza e ancor più – in fondo anzitutto – per la dignità e l’onore da parte dei tanti che in quei duri mesi non si piegarono alla sopraffazione, rischiando e spesso sacrificando la vita. Tanto più meritoria l’opera dei due autori tra carte d’archivio e testimonianze per far conoscere l’opera silenziosa, modesta ma fattiva di don Gilberto e di coloro che lo aiutarono. Davvero fu “un partigiano di Dio”.

“Il prete in un paese è come un appiglio – scrive nella prefazione l’Arcivescovo di Milano S.E. Mons. Mario Delpini – per chi non sa dove andare, per chi non ha nessuno di cui fidarsi, per chi non sa più a quale porta bussare, la porta della casa del prete è l’appiglio al quale si può attaccare. La porta si apre e accoglie: non chiede che cosa credi, non chiede che cosa fai, non chiede della religione o della provenienza. Quello per cui meriti attenzione è il bisogno di essere aiutato.
Il prete in un paese è come un bersaglio. In particolare nei giorni della dittatura. Il vestito che porta, la sua casa “sotto il campanile”, il dovere di parlare in pubblico lo rendono riconoscibile. Si possono ignorare le sue idee e le sue azioni, si può non conoscere il suo carattere e la sua cultura, ma una cosa risulta evidente: è un prete. Chi vuole prendersela con la Chiesa per una qualsiasi ragione, con chi se la prende se non il prete? Se il potere sospetta un’opposizione, un’azione di resistenza, un dissenso, il primo sospettato è il prete. Se sono ricercati oppositori del regime, la prima via da seguire è di seguire il prete.
Il prete in un paese è come una scintilla, può accendere un paese. Se il prete se ne fa promotore, i buoni propositi diventano un’opera. Se il prete incoraggia, di fronte a un bisogno, a un’emergenza, si prendono iniziative. Se il prete si appassiona, può diffondersi un ardore. Se il prete si mette di mezzo, si riesce, almeno qualche volta, a stemperare tensioni, a risolvere conflitti, a sperare la riconciliazione. Forse sto immaginando preti d’altri tempi e paesi che non esistono più ma è certo che la vicenda di don Gilberto Pozzi, dimostra quanto può essere incisiva in una comunità la presenza di un prete che ha saputo essere partigiano senza essere “di parte”, è stato protagonista della storia di Clivio senza essere esibizionista, ha attraversato tribolazioni e contrasti senza conservare risentimenti, ha affrontato pericoli e minacce senza perdere la fiducia e l’impegno, ha inteso il suo ruolo come un servizio, senza farsi servire.

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Fonte: Sir