Un silenzio lungo 45 anni. La storia di don Tavasci, deportato a Dachau

Venerdì scorso, 27 gennaio, in occasione della Giornata della memoria, il Comune di Piuro ha voluto ricordare la figura di don Tavasci.

Un silenzio lungo 45 anni. La storia di don Tavasci, deportato a Dachau

Il 28 luglio 1935, giorno della sua ordinazione, mentre si trovava disteso a terra al centro della chiesa di S. Martino a Gordona avvolto dalle litanie dei santi, don Giovanni Battista Tavasci (1913-1978) promette di stare sempre dalla parte dei poveri e dei perseguitati. Un impegno che ha scandito i suoi primi cinque anni di sacerdozio, trascorsi a Gordona come cappellano e che ha portato avanti, nel 1940, una volta nominato parroco di Sant’Abbondio a Borgonuovo di Piuro, in Valchiavenna (Sondrio).

Erano ancora vive le ferite lasciate dalla Grande guerra che ecco scoppiare un nuovo conflitto. Don Giovanni vede tanti giovani suoi coetanei costretti a imbracciare le armi e a partire per andare al fronte a combattere una guerra che non avevano né cercato, né voluto. Nel 1941 chiede allora al vescovo, mons. Macchi, di essere inviato al fronte per assistere spiritualmente i soldati, ma la sua richiesta non viene accolta. Viene mandato, invece, per un anno ad Amburgo ad assistere gli operai italiani emigrati in Germania. Nel 1942, mentre in Europa infuria il conflitto, don Giovanni fa ritorno nella sua parrocchia, a Piuro. Ed è proprio lì che poveri e perseguitati gli vengono incontro.

Le nocche bussavano sottovoce alla sua porta, di nascosto, nel cuore della notte. E lui apriva e tendeva la sua mano. A tutti, indistintamente. Agli ebrei perseguitati che chiedevano ospitalità e ai quali procurava i documenti necessari per fuggire nella vicina Svizzera, così come ai soldati che, dopo l’8 settembre 1943, erano entrati nelle file dei disertori per non aver aderito alla Repubblica di Salò. Decine di persone di cui si fa compagno di strada, anche materialmente, accompagnandoli lungo i ripidi sentieri della Valchiavenna verso quel confine geografico che significava per loro la salvezza. Don Giovanni mette a repentaglio la sua stessa vita, tanto che si vede costretto a rifugiarsi per un po’ di tempo in Svizzera. Ma poi rientra ancora una volta a Piuro, per aiutare una famiglia ebrea, che riesce a far scappare. È la domenica delle Palme del 1944 quando viene catturato mentre cerca di ripararsi in Svizzera attraverso il passo della Forcola. Da Chiavenna viene trasferito prima nel carcere di San Donnino a Como e poi a San Vittore a Milano. Il card. Schuster, arcivescovo di Milano, convoca il “cappellano per la Germania” don Costantino Balatti di Menarola per cercare di impedire la deportazione di don Tavasci. Purtroppo, però, ogni tentativo risulta vano.

Don Giovanni viene trasferito prima nel campo di concentramento di Fossoli e poi deportato in Germania. Il 21 giugno parte su un vagone bestiame diretto al campo di concentramento austriaco di Mauthausen, dove viene immatricolato con il numero 76601. Cinque mesi più tardi, il 29 novembre 1944, viene trasferito a Dachau, dove arriva il 1° dicembre e viene immatricolato con il numero 134399. Con lui, a condividere gli angusti spazi della baracca 26 – quella riservata ai preti – ci sono diversi sacerdoti italiani, tra cui don Giuseppe Elli, cappellano delle carceri di Bologna, don Agostino Vismara, direttore delle Opere missionarie di Bergamo, e don Camillo Valota, parroco di Frontale di Sondalo (Sondrio), al quale si sarebbe ispirato qualche anno più tardi Giovannino Guareschi (anch’egli deportato a Dachau) nel creare il suo don Camillo.

“Un anno di angherie morali e fisiche – scriverà don Tavasci qualche tempo dopo –. Ci si trova come semplificati di fronte alla vita e alla morte. Si apprezzano le cose sostanziali: il pane, la vita, l’essere pronti alla morte nella grazia di Dio”.

A Dachau conosce Père Michel Riquet, predicatore di Notre Dame di Parigi. È lui, insieme agli altri sacerdoti ad avergli “salvato la vita facendogli evitare, nell’autunno del 1944, il trasferimento in un campo di sicura eliminazione”.

Il 29 aprile 1945 i soldati americani liberano il Lager di Dachau. Tra i prigionieri che – nella foto scattata quel giorno e pubblicata recentemente dal Comune di Piuro sulla sua pagina Fb – compaiono dietro al cancello del campo di concentramento, c’è anche lui, don Giuseppe. È riuscito a sopravvivere all’orrore.

Dal campo di concentramento don Tavasci fa ritorno in Italia a piedi. È maggio quando, molto provato, varca i confini nazionali e qualche settimana più tardi, nell’autunno del 1945, riprende possesso della sua parrocchia di Sant’Abbondio a Piuro.

Le “sofferenze per le crudeltà, le vessazioni e i terrori subiti durante la prigionia” e il mancato sostegno da parte del vescovo al suo ritorno da Dachau spingono don Tavasci ad abbandonare il sacerdozio. Dieci anni più tardi lascia Borgonuovo e si trasferisce a Parigi dove, con l’aiuto di Père Michel Riquet, trova un lavoro e si ricostruisce una vita insieme a una sua compaesana, Maria (che oggi ha 98 anni), con cui si sposa.

Ed è proprio quella scelta di lasciare il sacerdozio – che all’epoca fece tanto scalpore – a far finire per 45 anni la storia di don Tavasci nell’oblio. A riportarla alla luce è stato Giuseppe Succetti, che dopo lunghe e non facili ricerche, è riuscito a ricostruire la vita di suo zio.

Venerdì scorso, 27 gennaio, in occasione della Giornata della memoria, il Comune di Piuro ha voluto ricordare la figura di don Tavasci dedicandogli una targa all’esterno del cimitero di Borgonuovo. Oltre al parroco don Romano Pologna, al sindaco di Gordona Mario Guglielmana e al primo cittadino di Piuro, Omar Iacomella, erano presenti anche i ragazzi della 5.a dell’Istituto per l’industria e l’artigianato per il made in Italy di Chiavenna. “Ho scritto alla comunità ebraica di Milano perché il suo nome venga inserito tra quello dei Giusti tra le nazioni – ha annunciato in questi giorni alla stampa Iacomella –. Un gesto che ritengo doveroso, dopo un silenzio così lungo”.

Un silenzio rotto venerdì mattina dalle parole dei discorsi ufficiali e dal suono delle campane della chiesa di Sant’Abbondio, che hanno voluto salutare e onorare così un sacerdote che si spese per i poveri e i perseguitati e che salvò la vita a centinaia di ebrei e ricercati politici.

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Fonte: Sir