Una sorella alla scoperta di un fratello autistico, che c’è e non c’è

"Fratello di ghiaccio" di Alicia Kopf, edito da Codice Edizioni, un romanzo autobiografico anticonvenzionale nel linguaggio e nella forma

Una sorella alla scoperta di un fratello autistico, che c’è e non c’è

Già nel titolo è decisiva la relazione, fraterna in questo caso, ma con un complemento di specificazione che subito gela lo slancio affettivo. Eppure, l’artista visiva Alicia Kopf, pseudonimo della 39enne catalana Imma Ávalos Marqués, si affretta subito a precisare nella dedica iniziale: "A mio fratello, che non è di ghiaccio". Insomma, fin dall’incipit s’intuisce che questo libro autobiografico scavalla ogni genere letterario perché oscilla fra saggio, diario, excursus storico e geografico fra Artide e Antartide. Quindi è tutto da decriptare, scongelando quel freddo polare che sembra avvolgere e cristallizzare i sentimenti, a protezione del proprio fragile equilibrio. Pubblicato per la prima volta nel 2016 e tradotto in una decina di lingue, "Fratello di ghiaccio" è un romanzo anticonvenzionale nel linguaggio e nella forma: gioca con parole, abbreviazioni e disegni, mentre elenca ipotesi di personaggi da inserire nel racconto, quasi fosse un’esercitazione letteraria. Il suo centro, ovvero il fratello maggiore della voce narrante (alter-ego dell’autrice), viene presentato soltanto a pagina 36 con righe lapidarie che fanno immaginare plasticamente cosa significhi rapportarsi con una persona autistica di cui viene svelata solo l’iniziale del nome, M., per delicatezza e senso di protezione.

"Mio fratello è un uomo intrappolato nel ghiaccio. Ci guarda da lì. O, con più esattezza, dentro di lui c’è una fessura che a volte ghiaccia. Lui c’è e non c’è. Diventa più presente nei periodi in cui i suoi contorni sono definiti; altre volte si immerge per un po’ di tempo da qualche parte. La sua percezione può arrivare fino a mille metri d’altezza (gli piace osservare la scia degli aerei) o, nei periodi in cui il ghiaccio è più spesso, a diecimila metri di profondità". E poi un affondo repentino, impietoso ai limiti del sarcasmo, sui pregiudizi altrui di fronte a una situazione del genere: "Si è abituati a pensare alla disabilità come a ciò che impedisce a un individuo di essere autosufficiente e, quindi, abile nelle attività per cui la maggioranza della gente - la società - è disposta a pagare. Anche così, da un punto di vista economico, molti di noi potrebbero rientrare in questa categoria. C’è una folla di incapaci che occupano posti di rilievo; analfabeti affettivi, imbecilli su larga scala che dirigono imprese e nazioni. La disabilità quindi, per una o per l’altra ragione, rappresenta una caratteristica comune alla maggior parte della popolazione, compresa la sottoscritta, se ci atteniamo al fatto che nessuno è totalmente indipendente e funzionale. La vera differenza è che la dipendenza causata da una disabilità intellettiva o fisica grave, così com’è usato in genere il termine, porta con sé una vulnerabilità per chi ne è colpito e un lavoro costante da parte delle persone che gli sono vicine". Altro che ghiaccio: c’è una ferita aperta e calda, nonostante l’ambientazione polare.

(La recensione è tratta dal numero di novembre di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)

Laura Badaracchi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)