Il “Deo” che manca. Sui film di Natale e la rivincita del Bambinello

Dio nei film di Natale viene nascosto con la stessa efficacia con cui potresti nascondere un elefante nel salotto di casa tua: indubbiamente ne spunterà in continuazione qualcosa; puoi provare a nascondere la Mangiatoia di Betlemme sotto cumuli di neve, palle di Natale scintillanti, musichette, dolci, brillantini e sentimentalismo, ma prima o poi spunterà fuori la chiamata all’amore, alla conversione, alla pace

Il “Deo” che manca. Sui film di Natale e la rivincita del Bambinello

Dopo avere trattato di un cartoonist nostrano nel precedente articolo, oggi vogliamo ampliare il raggio di interesse, e soffermarci su un film “natalizio” di largo consumo, e questo per due motivi: anzitutto, perché parlare di film di Natale in prossimità del Natale non può che intonarsi con la “magia del Natale” di questo periodo, in cui tutto sembra dover acquistare gli sgargianti barbagli di una strenna o i tintinnii di una slitta decorata da campanelli; e poi perché, secondo le finalità di questa rubrica, vogliamo e dobbiamo capire cosa di tutta la variante pop consumistica del Natale dica ancora del Natale quello vero, e anche, viceversa, come il Natale vero (quello di Gesù Cristo) possa ancora parlare dall’interno di una cultura almeno apparentemente plastificata in distanze abissali da esso.

Il film che prenderemo in esame si intitola “Un bambino chiamato Natale”. A dire il vero, in questo periodo si avrebbe solo l’imbarazzo della scelta per il numero di film a tema prodotti; questo però vale la pena commentarlo, perché ad oggi oscilla tra il quinto e il sesto posto dei film Netflix più visti al mondo. Al mondo.

Diciamo che il film in questione gioca sporco, perché non può non conquistarti introducendo sin dall’inizio l’impareggiabile Maggie Smith come personaggio narrante; è lei che accompagna i bambini suoi nipoti nel viaggio fantastico di una favola, con la quale vuole da un lato consolarli della recente perdita della madre, dall’altro riaffermare la speranza che a Natale “può accadere di tutto e di più”.

Prima di proseguire, come sempre il galateo del consumatore impone, avverto che ci saranno degli spoiler – ma quali spoiler potranno mai esserci in un filmetto natalizio? Non potrà che finire bene, tra luci scintillanti e nevicate giocose. Infatti finisce proprio così anche questo.

Tornando alla storia, la favola vera e propria inizia con Maggie Smith che dice fuoricampo: “Vi sembrerà difficile da credere, ma molto tempo fa nessuno sapeva niente sul Natale”.

(No, in effetti non ci sembra difficile, perché sembra stia parlando di oggi).

Dopo questo esordio, siamo proiettati nella vicenda strappalacrime di un bambino magrolino con occhioni sognanti di nome Nicholas – e qui lo spoiler se lo fa da solo il film, perché anche lo spettatore meno avveduto, facendo due più due, capisce bene che se il titolo è “Un bambino chiamato Natale”, e poi si vede il protagonista che è un bambino chiamato Nicholas, evidentemente questa sarà una storia sull’infanzia e la genesi di Babbo Natale, e di chi sennò?

Nondimeno, sospendendo ogni illazione anticipatoria, seguiamo la storia del piccolo Nicholas alla ricerca del padre, che era a sua volta andato alla ricerca degli Elfi per ottenere dal Re una ricompensa. Nicholas, tra un maltrattamento e un intirizzimento, riesce finalmente a incontrare gli Elfi, che non sono altro che dei simpatici Tirolesi con le orecchie a punta, dotati di un pizzico di magia buona.

Sono gli Elfi, stupiti dall’ignoranza di Nicholas, a svelargli finalmente cos’è il Natale, che nel film corrisponde a una specie di sagra locale del paese degli Elfi: “Il Natale è il giorno più bello dell’anno perché è quello in cui tutti sono più buoni. È un giorno di gioia e sorrisi, in cui avere un cuore d’oro è la cosa più importante di tutte”.

Già, ma perché?

Mistero.

E qui arriviamo al punto: in tutti i film di Natale c’è un appello alla bontà di quel giorno, triste presagio del cinismo pronto a riprendere piede dal 26, ma non se ne spiega mai il motivo. È così e basta.

In questi filmetti non si riesce proprio a tematizzare, neanche di striscio, la nascita di Gesù, nonostante in inglese, patria della maggior parte di questi prodotti per le feste, la cosa sia ancora più difficile, chiamandosi il Natale CHRISTmas.

In un altro bel cartone di Natale uscito dieci anni fa, “Arthur Christmas”, si racconta la simpatica vicenda della famiglia di Babbo Natale; a un certo punto il fratello maggiore del protagonista, Steve, serio e stakanovista, esce di scena canticchiando “Osanna in excelsis…” e si chiude la porta. Manca il “Deo”. Proprio non ci si riesce a dire l’ovvio, e cioè che il Natale riguarda Dio.

Dio nei film di Natale viene nascosto con la stessa efficacia con cui potresti nascondere un elefante nel salotto di casa tua: indubbiamente ne spunterà in continuazione qualcosa; puoi provare a nascondere la Mangiatoia di Betlemme sotto cumuli di neve, palle di Natale scintillanti, musichette, dolci, brillantini e sentimentalismo, ma prima o poi spunterà fuori la chiamata all’amore, alla conversione, alla pace. Ebenezer Scrooge docet.

Natale induce all’amore, richiede amore… potremmo dire che il Natale magnetizza e trascina all’amore, che se ne riconosca o meno il motivo, e cioè la nascita del Salvatore.

La vera “magia” del Natale è il risuonare invincibile del canto degli angeli nel cielo di Betlemme, che raggiunge anche chi se ne sta ben nascosto, e gli ricorda l’amore e la pace elargiti dalla nascita di Cristo.

E da questa chiamata alla pace e all’amore, in qualche strano modo anche nei prodotti apparentemente più assurdi o distanti si può arrivare al vero nucleo del Natale: il Figlio di Dio fatto uomo. E allora la storia del bambino chiamato Natale, al di là della patina un po’ banale e buonista, è anche, su un altro piano, una terapia attraverso la narrazione: “l’universo è fatto di storie, non di atomi”, aveva detto all’inizio Maggie Smith, e queste storie, in cui i bambini che la ascoltano raccontare trovano senso per il loro lutto nel lutto vissuto dal protagonista quando perde il padre, sono tutte aspetti dell’unica storia, che in greco si dice Logos, e che noi traduciamo Verbo, quel Verbo di cui a Natale sentiamo dire che si è fatto carne e ha messo la sua tenda in mezzo a noi (cfr. Gv 1, 14).

Nell’unico grande Racconto (Logos) ogni nostra vita è un racconto, e anche i racconti che facciamo per spiegare le nostre vite – compresi i filmetti natalizi, ai quali chiediamo un po’ di infantile e giocosa spensieratezza, eco consumistico (ma ogni tanto scusabile) di quella pace instaurata dalla venuta nel mondo del Salvatore.

Buon Natale a tutti!

(Musichetta di sottofondo di slitta e campanelli…)

Alessandro Di Medio

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Fonte: Sir