“Il ritratto del Duca”, la storia vera di un appassionato di giustizia sociale

Protagonista del film di Roger Michell è Kempton Bunton, che nell'Inghilterra degli anni '60 portò avanti una battaglia per l'accesso gratuito degli anziani al canone televisivo, per combattere l'isolamento sociale. Il furto del dipinto, al servizio della sua missione: “Ogni volta che qualcuno resta tagliato fuori, la nazione perde un pezzo”

“Il ritratto del Duca”, la storia vera di un appassionato di giustizia sociale

Ha tutte le carte in regola per essere definito un film “delizioso”, ma “Il ritratto del Duca”, di Roger Michell (con Jim Broadbent e Helen Mirren), da ieri al cinema, è soprattutto un grande film sociale. Una favola, quasi una parabola, che però è una storia vera: la storia di Kempton Bunton, un'appassionato di giustizia sociale, un visionario che si rivela un pioniere, un “vecchio pazzo” agli occhi della moglie, che però continua a stargli accanto, mentre lui realizza nella società inglese degli anni '60, le gesta del suo eroe Robin Hood: togliere ai ricchi per dare ai poveri. In altre parole, ridistribuire la ricchezza, perché nessuno resti tagliato fuori e perché i soldi dello Stato servano a garantire opportunità e non siano sperperati. E' questo il principio, è questa l'urgenza che porta Kempton a portare avanti con convinzione e ad ogni costo la sua campagna per il canone televisivo gratuito per gli anziani.

Oggi appare profetica, una battaglia combattuta oltre 60 anni fa per assicurare a tutti l'accesso alla televisione, strumento capace di rompere l'isolamento sociale e combattere le diseguaglianze. Allora internet non c'era, la tecnologia passava per il tubo catodico.

Una passione sociale, quella di Bunton, che prende tante, diverse forme: non solo il canone televisivo, ma anche la pausa pranzo ridotta per il collega straniero è inaccettabile ai suoi occhi. Così passa da una battaglia all'altra, per una o per l'altra una causa sociale. E non retrocede neanche di fronte ai ripetuti licenziamenti, che puntualmente portano in casa crisi di nervi e crisi finanziarie. Una fame e una sete di giustizia che nasce e affonda le radici in un dolore profondo, in una perdita anch'essa ingiusta, che si tramuta in militanza e impegno per un mondo migliore, in cui anche l'ingiustizia scompaia, compresa quella più drammatica, come la fine tragica di una giovane vita.

Kempton combatte per quelle che oggi definiremmo “buone cause”, ma che la società di allora non era pronta a far proprie: lo guardava con commiserazione prima, con sospetto poi, infine con condanna, quando gli imputò il furto di un'opera stimata centinaia di migliaia di sterline. L'innocenza che lui proclama in tribunale, duettando con il suo avvocato come sul palco di un teatro, è una dichiarazione di principi degni di una democrazia, in cui la ricchezza sia equamente distribuita e a nessuno manchino opportunità, inclusione, diritti. “Ogni volta che qualcuno resta tagliato fuori, questa nazione perde un pezzo. È una vita che lotto per gli altri e finisco nei guai, ma avevo fede: non in Dio, nelle persone!”

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)