Oscar: Hollywood incorona “I segni del cuore. Coda”. Jane Campion è la miglior regista. Pioggia di premi tecnici per “Dune”

“Voglia di tenerezza”. Il titolo del film di James L. Brooks del 1983, con Shirley MacLaine e Jack Nicholson, ci è utile nel definire il mood dell’Academy, la scelta nella 94a edizione dei Premi Oscar di incoronare come miglior film “I segni del cuore. Coda” di Sian Heder. Si tratta di un “feel-good movie” sul valore dei legami familiari e dell’inclusione, che mette a tema la condizione delle persone con disabilità uditiva. Con un budget iniziale da film indipendente e attori non proprio di primo piano, “I segni del cuore. Coda” ha conquistato i giurati dell’Academy, forte anche dell’impegno di AppleTv+ nel sostenere il film, scalzando il super favorito “Il potere del cane” di Jane Campion targato Netflix, l’apprezzato “Belfast” di Kenneth Branagh e il gioiello “Licorice Pizza” di Paul Thomas Anderson

Oscar: Hollywood incorona “I segni del cuore. Coda”. Jane Campion è la miglior regista. Pioggia di premi tecnici per “Dune”

“Voglia di tenerezza”. Il titolo del film di James L. Brooks del 1983, con Shirley MacLaine e Jack Nicholson, ci è utile nel definire il mood dell’Academy, la scelta nella 94a edizione dei Premi Oscar di incoronare come

miglior film “I segni del cuore. Coda” di Sian Heder. Si tratta di un “feel-good movie” sul valore dei legami familiari e dell’inclusione, che mette a tema la condizione delle persone con disabilità uditiva.

Con un budget iniziale da film indipendente e attori non proprio di primo piano, “I segni del cuore. Coda” ha conquistato i giurati dell’Academy, forte anche dell’impegno di AppleTv+ nel sostenere il film, scalzando il super favorito “Il potere del cane” di Jane Campion targato Netflix, l’apprezzato “Belfast” di Kenneth Branagh e il gioiello “Licorice Pizza” di Paul Thomas Anderson.

Se Hollywood celebra la famiglia

Tra i momenti più toccanti della cerimonia rimarrà di certo quello dell’apertura della busta del miglior film da parte di una Liza Minnelli dal precario stato di salute ma sempre fiera e autoironica, sorvegliata con tenerezza dallo sguardo di Lady Gaga. Loro hanno proclamato la vittoria del film “I segni del cuore. Coda”. Tre dunque le candidature di partenza, e tre i premi di peso portati a casa: oltre alla statuetta per il miglior film, si ricordano quelle per la sceneggiatura non originale firmata dalla stessa regista Heder e per l’attore non protagonista Troy Kotsur.

“I segni del cuore. Coda” rappresenta un successo produttivo e tematico-narrativo, componendo un racconto sociale coinvolgente sulla famiglia e i suoi legami.

Il tema della disabilità, poi, in linea con l’impianto del film originale – è il remake della commedia francese “La famiglia Bélier” (2014) –, viene affrontato in maniera valida e rispettosa, lontano da facili stereotipi; una vittoria che di certo aiuterà a infrangere ulteriori barriere nell’industria culturale statunitense, e nella società americana tutta.

Per il premio a Troy Kotsur, è andata in scena una bella pagina, di viva emozione, durante la diretta degli Academy. La Hollywood seduta al Dolby Theatre ha accolto la sua vittoria in piedi, non con un semplice applauso, bensì salutandolo con il linguaggio dei segni, “agitando le mani in aria”.Kotsur è infatti il secondo attore non udente a vincere la statuetta nella storia degli Oscar; la prima è stata Marlee Matlin nel 1987 per “Figli di un dio minore”, che è anche nel cast del film “Coda”.

“Dedico questo premio – ha indicato l’attore – alla comunità Coda [child of deaf adult], ai non udenti, ai disabili tutti. Questo è il nostro tempo!”.

Will Smith tra commozione e “schiaffi”

Un altro potente ritratto viene da “Una famiglia vincente. King Richard” di Reinaldo Marcus Green, la storia vera delle campionesse del tennis Venus e Serena Williams raccontata attraverso l’audace impegno educativo dei genitori Richard e Oracene.

Il film ha ottenuto il premio per la miglior interpretazione di Will Smith, che ha così finalmente conquistato la statuetta alla sua terza nomination (“Alì”, “La ricerca della felicità”).

L’attore è salito sul palco con il viso rigato dalle lacrime, ringraziando la famiglia Williams per avergli affidato una storia così potente e straordinaria; si è scusato poi con l’Academy e il pubblico tutto per un alterco verbale e fisico avvenuto durante la cerimonia con l’attore Chris Rock (motivo detonatore sembra un commento infelice verso la moglie di Smith).

Al di là della riflessione se si sia trattato di un sfogo di rabbia autentico (e comunque non giustificabile!) o spettacolarizzato, di certo appare come una evidente macchia nell’immagine dell’attore, proprio nel momento di massimo splendore, omaggiato per un’interpretazione che lascia davvero il segno. Peccato!

E ancora,

agli Oscar vince inoltre il ricordo familiare di Kenneth Branagh, con il suo bellissimo ed elegante “Belfast”, che conquista la statuetta per il copione originale.

A ben vedere, il film avrebbe meritato qualche premio un più, a cominciare dal miglior film dell’anno.

Hollywood è donna con Jane Campion e Jessica Chastain

È al suo secondo Oscar – il primo per la sceneggiatura di “Lezione di piano” nel 1994 –

Jane Campion: vince la miglior regia per “Il potere del cane”, entrando di peso nella storia dell’Academy come terza donna dopo la pioniera Kathryn Bigelow nel 2010 e da Chloé Zhao nel 2021.

Con “Il potere del cane” la Campion è arrivata agli Oscar con ben 12 candidature; molti potrebbero rimarcare che il film ne esca pertanto “sconfitto”, avendo vinto un solo premio, ma non è così. Anzi, possiamo affermare che la Campion ha compiuto una piccola “rivoluzione” a Hollywood: ha sovvertito i canoni del racconto western, demolendo il mito machista, e ha imposto uno sguardo femminile in un ambiente a forte trazione maschile.

Un’altra grande donna ha trionfato, Jessica Chastain.

Finalmente ha sollevato l’ambita statuetta dopo due tentativi: “Zero Dark Thirty e “The Help”. L’attrice ha convinto l’Academy per il sensazionale ritratto di Tammy Faye Bakker nel biopic “Gli occhi di Tammy Faye”. Sul palco ha richiamato la storia della predicatrice evangelica, rivolgendo un pensiero ai tanti fragili, emarginati e discriminati nel nostro difficile presente. “Tammy ha avuto atti radicali di amore”, ha commentato l’attrice esortando tutti ad accettarsi ed amarsi di più.

Attrice non protagonista è invece Ariana DeBose dal remake di “West Side Story” firmato Steven Spielberg. Un premio certo per una stella nascente, anche se l’intensità e il talento della candidata Judi Dench per “Belfast” non sono raggiungibili.

L’Italia fuori dal podio e la vittoria di “Encanto”

Niente da fare per il nostro Paolo Sorrentino e il suo “È stata la mano di Dio”. Il regista, già vincitore di un Oscar con “La grande bellezza”, non ha conquistato la statuetta del film straniero, andata al favorito “Drive My Car” del giapponese Ryūsuke Hamaguchi (film dove ritorna il tema dell’inclusione e della disabilità uditiva). “Sconfitta” anche per l’altro italiano Enrico Casarosa, creatore del cartoon della Disney “Luca”, una luminosa storia di amicizia ambienta sulla Riviera ligure.

Premiato come miglior animazione (anche qui come da previsione) è “Encanto” di Byron Howard, Jared Bush e Charise Castro Smith: un riuscito e colorato inno alla famiglia, alla sua unità e centralità nel nostro presente, declinato con atmosfere colombiane e sfumature di realismo magico alla Gabriel García Márquez.

“Dune” spariglia le carte e gli anniversari di 007 e del “Padrino”

Vero trionfatore nella 94a edizione degli Academy Award è il colossal “Dune” del visionario Denis Villeneuve, che offre una ricercata e personale rilettura del romanzo di Frank Herbert. Forte di 10 nomination, il film porta a casa una pioggia di premi tecnici, tutt’altro che marginali: fotografia, montaggio, scenografia, effetti visivi, suono e colonna sonora.

Nell’anno del 60° anniversario della saga di James Bond – il primo titolo uscito con protagonista l’agente segreto di Sua Maestà è “Licenza di uccidere” (“Dr. No”) del 1962 – la miglior canzone agli Oscar è “No Time to Die” dei fratelli Billie Eilish e Finneas O’Connell

, brano portante dell’omonimo film di Cary Fukunaga, il 25° titolo dedicato a 007.

Infine, sempre in tema di anniversari, standing ovation per i 50 anni del film “Il Padrino” (1972). Ha non poco impressionato e persino commosso vedere sul palco del Dolby Theatre tre vecchie glorie: il regista Francis Ford Coppola, gli attori Al Pacino e Robert De Niro. Statuari nella bravura, oggi cambiati e segnati dal tempo, ma dallo sguardo sempre fiammeggiante. Applausi!

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Fonte: Sir