Parasport, sport integrato e accessibilità degli impianti: la sfida per il futuro

Nel libro “Press play on sport. Esperienze di accessibilità sportiva per persone con disabilità” Massimiliano Rubbi fa il punto sullo stato dell’arte nel nostro paese: “Valorizzare lo sport per tutti, fare attenzione alla narrazione della ‘superdisabilità’ e implementare l’accessibilità degli impianti”

Parasport, sport integrato e accessibilità degli impianti: la sfida per il futuro

Sport adattato, discipline inclusive, accessibilità degli impianti sportivi. È una lettura dello sport paralimpico a tutto tondo quella che Massimiliano Rubbi propone in “Press play on sport. Esperienze di accessibilità sportiva per persone con disabilità”, il nuovo libro di edizioni La Meridiana dedicato al tema della diffusione della pratica sportiva anche tra le persone con una disabilità. Nonostante la grande popolarità guadagnata negli anni dallo sport per tutti, anche grazie a eccellenze come Bebe Vio e Alex Zanardi, secondo gli ultimi dati Istat la pratica sportiva tra le persone con disabilità appare ancora significativamente meno diffusa – si stima sia la metà – rispetto al complesso della popolazione. “Una questione – spiega Rubbi – che passa anche da un problema di linguaggio: in Italia si parla molto di ‘sport paralimpico’ in riferimento alle Paralimpiadi, concentrandosi quindi molto sull’aspetto competitivo e agonistico. Al contrario, non si parla quasi mai di ‘parasport’, espressione più ampia molto usata in ambiente anglosassone, che include anche lo sport amatoriale delle persone con disabilità”.

Il libro descrive alcune esperienze legate a sport adattati e integrati alla pratica di persone con disabilità, inquadrate in una prospettiva di accessibilità. Dal basket secondo l’ormai storico metodo Calamai – atleti normodotati e atleti con disabilità giocano insieme, con vantaggi per tutti – alla Carovana dello sport integrato, dove lo sport si affronta secondo un sistema di ruoli e le regole sono in divenire. “Va riaffermato – continua Rubbi – che lo sport per tutti non si contrappone necessariamente a quello professionistico e il pieno dispiegamento delle potenzialità del primo non richiede, come vuole una retorica diffusa, il drastico ridimensionamento del secondo. Va presentata la biodiversità sportiva e garantito un equilibrio più generale tra la competizione e lo svago”. Quindi ben vengano gli esempi positivi – Zanardi, Vio, Caironi, solo per citarne alcuni –, ma inseriti in una narrazione adeguata: “Il rischio è che queste figure siano mitizzate, tanto da essere viste come irraggiungibili da chi non ha quelle caratteristiche eccezionali. Non cadiamo nella tentazione della ‘superdisabilità’”.

L’autore dedica un’ampia parte della sua analisi anche alla questione della fruizione degli eventi sportivi, non sempre facile. Nel libro – pubblicato in collaborazione con il Centro documentazione handicap di Bologna, costituito dall’associazione CDH e dalla cooperativa sociale Accaparlante – vengono esaminati alcuni servizi e adattamenti che consentono alle persone con diversi tipi di disabilità di assistere a eventi sportivi come spettatori. Qualche esempio? “Stanze e kit sensoriali per persone con difficoltà legate a sovraccarico sensoriale – spiega Rubbi –. Persone con autismo, per esempio, oppure persone con un disturbo post traumatico a cui le folle e i grandi rumori degli stadi possono dare fastidio ma che se adeguatamente protette possono essere messe nelle condizioni di gestire le proprie emozioni e dunque assistere in presenza alla partita”. L’esempio macroscopico è quello di Kulture Citycharity americana che certifica stadi, palazzetti, strutture sportive se adatte anche a persone con un disturbo sensoriale. “Dalla formazione a chi gestisce gli impianti al kit che viene consegnato allo spettatore con un disabilità sensoriale e alla sua famiglia per governare al meglio l’esperienza di un match tra la folla”. Negli Stati Uniti sono 414 le realtà certificate, 3 in Australia e 2 a Londra, Craven Cottage, lo stadio del Fulham, e MLB London Series 2019, spazio utilizzato tra 2019 e 2020 per alcuni incontri della Major League Baseball. “Tutto è cominciato dall’idea dei genitori di un bambino con autismo – spiega Rubbi –. Partirono con uno studio pilota e trovarono terreno fertile anche tra i reduci americani. La peculiarità è che non si tratta tanto della certificazione dei muri, quanto della formazione di una quota significativa dello staff”.

Come superare, allora, questa situazione? “Parlando di più di parasport, ragionare in termini di accessibilità – concetto che va oltre la disabilità e oltre lo sport e che coinvolge tutti –, inserire lo sport all’interno di una rete più ampia di possibilità per trascorrere il tempo libero. Proiettati in questa direzione, gli sportelli informativi della Regione Emilia-Romagna dedicata alle persone con disabilità che vogliono avvicinarsi allo sport, in grado di orientare anche il tipo di attività. L’impegno deve essere quello di promuovere un contesto inclusivo nelle polisportive che accolgono persone con disabilità. Ciò non significa bypassare lo spirito competitivo, ma consentire a tutti di giocare al proprio meglio”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)