Qua la mano. La cifra di un campione è data dal rispetto dell’avversario

Quella che la maglia gialla Hillerslev Vingegaard e Tadej Pogacar hanno scritto giovedì scorso sulle salite e sulle discese dei Pirenei è una pagina di storia del ciclismo e dello sport che rimarrà negli annali.

Qua la mano. La cifra di un campione è data dal rispetto dell’avversario

Le due ruote per Tadej sono tutto. La scintilla è scoccata fin dalla prima volta che, giovanissimo, è salito in sella. E quelle due ruote lo hanno portato da Komenda, il comune sloveno in cui è nato nel 1998, fino a Parigi, sotto l’Arco di Trionfo, dove nel 2020, a 21 anni e 364 giorni, ha vinto il suo primo Tour de de France, divenendo così il secondo più giovane vincitore di sempre e aggiudicandosi, tra l’altro, anche il primo posto nella classifica scalatori e in quella dei giovani. Il 18 luglio dello scorso anno Tadej torna a Parigi, sotto l’Arco di Trionfo, sul gradino più alto del podio a festeggiare la vittoria del suo secondo Tour.

Jonas è nato nel dicembre 1996 a Hillerslev, in Danimarca. Anche per lui le due ruote sono tutto. Ciclista professionista dal 2019, come Tadej, anche lui, lo scorso 18 luglio, era a Parigi, sotto l’Arco di Trionfo. Sul secondo gradino del podio.

Quando sono in sella alle loro bici, Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard, non si risparmiano colpi. L’uno a rincorrere l’altro, pronto a spendere le ultime energie che gli restano per dare l’affondo finale e tagliare per primo il traguardo. Come è successo giovedì scorso (20 luglio), nella 18.ma tappa del Tour de France 2022. Tappa di montagna sui Pirenei, da Lourdes all’Hautacam, 143,2 km, con le salite al Col d’Aubisque (1.707 metri – 16,4 km con una pendenza del 7,1%) e al Col de Spandelles (1.378 metri – 10,3 km con una pendenza del 8,3%), per finire arrivo all’Hautacam (1.520 metri – 13,6 km con una pendenza del 7,8%). Quattro ore di fatica e sudore, in cui Vingegaard e Pogacar, fin dal primo chilometro, non si risparmiano colpi, sfindandosi a vicenda. Nelle salite e nelle discese, quando gestire traiettorie e velocità diventa un vero e proprio capolavoro di equilibrismo.

Ed è nella discesa dal Col de Spandelles che i due lasciano sfrecciare le loro due ruote disegnando traiettorie simili alle pennellate di un artista sulla tela. Ad un certo punto Jonas, che quest’anno indossa la maglia gialla, sbanda ma riesce a domare la bici imbizzarrita e a correggere la traiettoria. Poche curve più tardi è Tadej a finire sul brecciolino. La ruota parte e lui finisce a terra. Sanguinante, si rialza subito, ma sa benissimo che quella manciata di secondi persi hanno permesso al suo avversario di staccarlo di decine e decine di metri. In realtà, però, non è così. Vingegaard si accorge subito che il rivale è caduto e smette di pedalare. Per aspettarlo. Avanza lentamente, voltandosi indietro per cercare di vederlo arrivare. E solo quando il corridore sloveno gli si avvicina, lui riprende a spingere sui pedali. Tadej gli si avvicina sulla destra, lo affianca, allunga il braccio e gli tende la mano. Per ringraziarlo.

Sull’Hautacam a tagliare prima il traguardo sarà Vingegaard. Pogacar, il vincitore designato del Tour, l’uomo che non poteva perdere dopo due vittorie consecutive, ferito e dolorante si è dovuto arrendere e lasciare al rivale il gradino più alto del podio. Ma questo è un particolare che, tra qualche anno, ricorderanno in pochi.

Quella che la maglia gialla Hillerslev Vingegaard e Tadej Pogacar hanno scritto giovedì scorso sulle salite e sulle discese dei Pirenei è una pagina di storia del ciclismo e dello sport che rimarrà negli annali. Come quella loro stretta di mano. Un gesto che nella mente di quelli che hanno qualche anno in più, ha richiamato un altro gesto tra due rivali, proprio al Tour, proprio sui Pirenei. Tour del 1952, Passo del Galibier. Il fotografo Carlo Martini scatta una fotografia in bianco e nero, che rimarrà nell’iconografia del grande ciclismo, in cui i due rivali si scambiano quella che è sempre stata ritenuta una borraccia, ma che in realtà era una bottiglia.

La stretta di mano tra Pogacar e Vingegaard, che in poche ore è rimbalzata sui social, a partire dalla pagina Fb del Tour de France, è una delle immagini più belle del Tour.

E chi se l’è persa, perché intento in quelle ore a seguire le dirette televisive che raccontavano – sempre in diretta – di altre discese spericolate, quelle della politica italiana, non abbia a temere. Avranno sicuramente modo e occasione per rivedere quelle immagini.

Il gesto di Jonas e Tadej merita di essere visto e rivisto. Perché non è stato solo fair play. È stato un gesto di profondo rispetto per l’avversario. Vingegaard poteva approfittare della situazione e “vincere facile”, ma sapeva che quella non sarebbe stata una vera vittoria.

Alla fine – come nella tappa Lourdes-Hautacam – ci sarà sempre un vincitore e un vinto. Ma la cifra di un campione è data dal rispetto dell’avversario. Furbizie, sotterfugi o piani studiati a tavolino non sono cosa da campioni. Perché i veri campioni e i veri avversari (non solo nello sport, ma in ogni ambito della vita) sanno che sono tali solo perché esiste l’altro.

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Fonte: Sir