Ucraina fra guerra e sport: la pace conta più di ogni medaglia

Fra gli atleti paralimpici c'è chi ha lasciato il Paese e chi è rimasto in Ucraina. Alcuni si sono rifugiati in cantina, altri hanno messo all’asta il proprio oro paralimpico per aiutare i soldati e la popolazione

Ucraina fra guerra e sport: la pace conta più di ogni medaglia

Pechino 2022 sarà ricordata come la Paralimpiade del conflitto, quella in cui lo sport non è stato l’unico protagonista, purtroppo. Per la delegazione ucraina, però, si è trattato del miglior risultato di sempre da quando ha iniziato a competere come Nazione indipendente nel 1996. Sul campo gli atleti ucraini si sono fatti valere molto di più rispetto alle altre edizioni, chiudendo al secondo posto della classifica generale con 29 medaglie (11 ori, 10 argenti, 8 bronzi), dietro ai padroni di casa della Cina, che ha collezionato 61 medaglie complessive, e davanti al Canada, che di podi ne ha ottenuti 25. Una partecipazione per nulla scontata, però, alla luce del fatto che mentre gli atleti paralimpici ucraini si stavano preparando al debutto, i carri armati russi si trovavano già in viaggio verso il confine. Ma l’Ucraina doveva esserci perché, come ha sottolineato il presidente del Comitato paralimpico ucraino Valeriy Sushkevych, "la nostra presenza alle Paralimpiadi è stato il segno che l’Ucraina è e rimarrà un Paese".

E oggi? A distanza di ormai oltre tre mesi dall'invasione russa e poi dalle Paralimpiadi disputate a Pechino, cosa succede nel presente degli atleti ucraini? Ventotto di loro, tra olimpici e paralimpici reduci dai Giochi invernali, insieme alle loro famiglie e ad altre persone con disabilità, si sono spostati a Kisakallo, in Finlandia, ospiti della squadra del Sushkevich. Il progetto di cooperazione ucraino-finlandese si svolge con il sostegno personale del presidente del Comitato paralimpico dell’Ucraina Valery Sushkevich, del Comitato nazionale paralimpico finlandese, del ministero degli Affari interni e del Servizio migrazioni. E se alcuni hanno preso la via della Finlandia, altri ancora hanno trovato ospitalità in Polonia.

In prima linea, però, non ci sono solo gli atleti degli sport invernali. Il ventisettenne nuotatore Yevheniy Bohodayko, oro nei 100 rana e bronzo nei 50 stile libero S7 ai Giochi di Tokyo, ha messo all’asta la sua medaglia d’oro: il ricavato andrà alla Zsu (il servizio di sicurezza ucraino) ma sarà anche destinato all’acquisto di beni umanitari: "Sono andato nella regione di Sumy e ho visto gli orrori della guerra causati dalla Russia. Ho parlato anche con i nostri soldati che difendono i nostri confini in prima linea. La guerra, purtroppo, non è finita e ogni giorno la gente ha bisogno anche del nostro aiuto. Non voglio fermarmi e non voglio smettere di aiutare". Tanti stanno seguendo l’esempio di Bohodayko, come Sergey Emelyanov, canoista, vincitore della medaglia d’oro ai Giochi paralimpici di Tokyo. Una medaglia che oggi mette all’asta: "Solo se saremo tutti insieme potremo vincere", assicura. Yaroslav Semenenko è un altro campione di nuoto, plurimedagliato ai Mondiali e bronzo a Rio 2016 nei 100 rana S6. Amputato a entrambi gli arti superiori, Semenenko è originario della regione del Donetsk e negli ultimi quattro mesi ha vissuto a Mariupol. Quando sono iniziati i bombardamenti in città ha dovuto vivere tre settimane chiuso in cantina, due di queste soffrendo per la mancanza di acqua, cibo e sotto la paura costante di bombe e missili. Storie di resistenza con ogni mezzo, storie di determinazione e resilienza, di chi prova a guardare al futuro nonostante gli orrori quotidiani.

Ma facciamo di nuovo un passo indietro. Il 13 marzo, con la sfilata al National Stadium, gli atleti delle 46 Nazioni partecipanti hanno scritto la parola fine sui XIII Giochi paralimpici invernali di Pechino 2022. Un’edizione caratterizzata dalla difficile situazione mondiale legata alla pandemia di covid-19 ma anche e soprattutto dagli echi della guerra iniziata il 24 febbraio con l’invasione del territorio ucraino da parte dell’esercito russo. Un conflitto che ha portato l’International Paralympic Committee (Ipc) a prendere inizialmente la decisione di far partecipare gli atleti russi e bielorussi come atleti neutrali sotto la bandiera del Comitato paralimpico internazionale (2 marzo) e, un giorno dopo, a quella ancor più difficile di escluderli definitivamente dai Giochi. Una decisione motivata, in quell’occasione, dal presidente dell’Ipc Andrea Parsons con queste parole: "Siamo stati in contatto con un numero enorme di nostri membri, che ci hanno detto con grande franchezza che se non avessimo riconsiderato la nostra decisione, probabilmente tutto questo avrebbe avuto pesanti conseguenze sulle Paralimpiadi. Numerosi comitati paralimpici nazionali, alcuni dei quali sono stati contattati dai loro governi, insieme a squadre e atleti, hanno minacciato di non competere. Agli atleti paralimpici russi e bielorussi voglio dire che siamo molto dispiaciuti che siate stati colpiti dalle decisioni che i vostri governi hanno preso violando la tregua olimpica. Siete vittime delle azioni dei vostri governi", aveva concluso Parsons.

In pista il pensiero degli atleti era rivolto non solo alla gara ma, comprensibilmente, anche e soprattutto a quello che stava accadendo a migliaia di chilometri di distanza. Grygorii Vovchynskyi, vincitore dell’oro nello sprint di biathlon di categoria sitting, ha raccontato: "Ho provato a pensare alla gara ma è stato veramente difficile. La cosa più importante è la vita, i nostri figli, la nostra gente". Stesso pensiero per la trentunenne Oleksandra Kononova, che dopo aver vinto l’argento nella 10 km standing ha ammesso: "Nonostante sia fisicamente qui e gareggi, tutti i miei pensieri, il mio cuore e la mia anima sono con la mia famiglia e con mio figlio". Rimanendo nella disciplina dello sci nordico, la trentenne Oksana Shyshkova, atleta non vedente, che sulle nevi di Zhangjiakou ha ottenuto ben cinque medaglie (tre d’oro e due d’argento), alla domanda sulle sue speranze per il proseguo dei Giochi dopo la prima medaglia vinta ha dichiarato: "Non ho speranze, voglio solo la pace". E “Pace” è stato anche lo slogan dell’intera delegazione ucraina, che ha osservato un minuto di raccoglimento in memoria delle vittime della guerra. Perché, come ha detto Valeriy Sushkevych, "se l’umanità è civile, allora questa guerra deve essere fermata. Le persone, le donne e i bambini meritano di vivere, non di morire".

(L’articolo è tratto dal numero di maggio di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)