80 anni fa bombe su Padova colpivano il convento dei cappuccini di san Leopoldo

Domenica 14 maggio 1944. A Padova doveva essere uno dei giorni più belli dell’anno per i frati cappuccini. Invece fu il più triste.

80 anni fa bombe su Padova colpivano il convento dei cappuccini di san Leopoldo

E mancò poco che per loro fosse l’ultimo. Quel giorno di primavera, nella chiesa del Santissimo Redentore a Venezia, veniva consacrato vescovo, ad appena 39 anni di età, mons. Girolamo Bortignon. Dall’estate del 1938, fra Girolamo da Fellette guidava come superiore provinciale i frati cappuccini veneti. Sarebbe diventato vescovo di Padova. Una domenica di gioia pasquale, si direbbe. Ma ciò che accadde avvisò che la guerra non aveva ancora smesso di seminare dolore e distruzione.

Nella morsa della guerra
In quei mesi del 1944 continuava a infuriare la Seconda guerra mondiale. Il 1943 aveva segnato serie battute d’arresto per i tedeschi, che negli anni precedenti avevano invaso e occupato molti Paesi europei. Con la firma dell’armistizio del 3 settembre (reso pubblico l’8 settembre), l’Italia si arrese. Era resa incondizionata e, insieme, dichiarazione di “cobelligeranza” a fianco degli Alleati. Ma la pace era ancora lontana. Rapide e risolute, le truppe tedesche riuscirono, in giorni di totale sbandamento militare e politico italiano, a disarmare l’esercito italiano e a presidiare città e infrastrutture. L’Italia era divisa, tra coloro che avevano deciso di rimanere fedeli al loro Duce, i cosiddetti “repubblichini” di Salò, e coloro che invece, stanchi del regime fascista e della guerra, aspettavano a braccia aperte le truppe anglo-americane. L’Italia era divisa anche geograficamente, tra un meridione “liberato” (Roma fu raggiunta dalle forze alleate il 4 giugno 1944) e una parte d’Italia ancora occupata dalle forze tedesche.

Strategie militari e “danni collaterali”
La Pianura Padana fu teatro di pesanti bombardamenti, tra la fine del 1943 e i primi mesi del 1945, su tutto il territorio dell’Italia settentrionale, tonnellate di bombe furono sganciate su obiettivi di interesse strategico. In città si viveva con l’angoscia delle sirene di allarme, a cui seguivano frettolose corse giù nei rifugi antiaerei. Accanto a ferrovie, caserme, ponti, campi di aviazione e altri obiettivi d’interesse militare, venivano colpiti ospedali, industrie, abitazioni, chiese, scuole. Distruzioni che potevano essere “giustificate” solamente dalla volontà di esercitare la pressione necessaria per costringere all’unica via d’uscita: la resa. Obiettivo, quest’ultimo, che gli alti comandi militari alleati si ponevano e che sarebbe stato affrettato per la montante avversione dell’opinione pubblica al regime.

Bombardamenti a Padova
Padova e provincia subirono almeno dodici bombardamenti aerei tra il 1943 e il 1945. Con gravi perdite: 2 mila le vittime civili tra città e periferia, 3.500 considerando l’intera provincia. Inestimabili perdite furono inflitte al patrimonio artistico della città del Santo. E veniamo alla domenica del 14 maggio 1944. Per il calendario cristiano ancora tempo pasquale, mancavano quattro giorni alla festa di Ascensione. C’era aria di festa nel convento di padre Leopoldo (era morto soltanto da un paio di anni). Il giovane padre provinciale dei cappuccini, fra Girolamo Bortignon, a Venezia era appena stato consacrato vescovo. Per qualche momento, una punta di “santo orgoglio” aveva incrinato il consueto, umile portamento dei cappuccini rimasti a Padova.

La distruzione della chiesa e del convento dei cappuccini
Sì, rimasti, perché in convento c’erano meno frati del solito. I ripetuti bombardamenti sulla città avevano convinto i superiori religiosi a disporre misure di precauzione, come l’allestimento di piccoli rifugi o lo sfollamento. All’improvviso, il sole alto in cielo, le sirene dell’allarme aereo annunciarono un imminente attacco. C’era poco tempo per mettersi al sicuro nei rifugi, spesso semplici cantine o i piani interrati dei palazzi. Ecco il racconto che uno dei frati di Padova ha lasciato nella “cronaca” del convento: «Alle ore 12 precise, il nostro convento fu colpito in pieno da cinque bombe aeree nemiche, giudicate dal peso [complessivo] di dodici quintali. Una bomba prese in pieno – precisamente tra le due cappelle, di san Francesco e di sant’Antonio – la nostra cara, bella e devota chiesa e la distrusse completamente. Rimase in piedi una parte della facciata, la parete sinistra e il coro, seriamente danneggiato. Una nota degna di rilievo: nella cappella (altare laterale, ndr) della Madonna, rimase non solo incolume la statua della Madonna Immacolata – a deplorare l’orrenda profanazione e per dire a noi religiosi, col suo celestiale sorriso, accorsi per ringraziarla: “Sono stata io che vi ho salvato!” –, ma rimase intatto persino il vetro (della nicchia, ndr). […] Due bombe colpirono il convento, distruggendo lo Studio (la zona riservata ai frati giovani in formazione, ndr), la foresteria, la parte dei fratelli laici, parte dell’infermeria. La parte [del convento] dei padri rimase danneggiata. I religiosi, in numero di quindici, si trovavano nella cantina, adibita a rifugio. Le altre due bombe caddero a pochi metri dal rifugio e precisamente nella corte che dal convento mette alle stalle. Sul posto furono prontamente tutte le autorità cittadine, che tosto impartirono ordini per lo sgombero (delle macerie, ndr) e il recupero del materiale rimasto. Non è esagerato affermare che Padova mai ha manifestato tanto amore e tanto dolore per noi padri cappuccini come in questa circostanza. Possiamo dire che nessun padovano ha fatto a meno di visitare il nostro convento». Per lungo tempo, rimase oscuro il motivo di tanta distruzione.

Bombardamento di precisione?
I piloti americani, pur vantando mezzi e addestramento, erano in prevalenza giovani di 18- 20 anni senza alcuna conoscenza del territorio italiano. Le loro relazioni militari non mancano di parlare di obiettivi clamorosamente mancati. I padovani dovettero fare i conti con quasi metà delle bombe sganciate – in tutto 81 tonnellate! – che caddero, “imprecise” ma devastanti, via via sempre più lontano dagli obiettivi. Con i conseguenti incendi, crolli di edifici e case, vittime e devastazioni.

La “profezia” di padre Leopoldo
Cessato lo shock, i frati superstiti a tanta distruzione si ricordarono di alcune parole di padre Leopoldo, il confessore morto da due anni (30 luglio 1942) che tutta Padova già venerava come santo. Il 24enne fra Barnaba Gabini, friulano di Lestizza (1920-2016), era tra i pochi frati rimasti a Padova. Racconterà che, qualche anno prima, padre Leopoldo fu sorpreso in pianto. Alla richiesta di spiegarne il motivo, parlò di un presagio (visione?) secondo cui convento e chiesa sarebbero stati distrutti. Aggiunse che però i frati si sarebbero salvati. Anche il signor Alvise Franceschini di Padova riferirà che, a guerra iniziata, s’era recato da padre Leopoldo. Alla domanda se anche Padova rischiasse di venire bombardata, il frate rispose: «Lo sarà, e duramente». Aggiungendo alcuni particolari sorprendenti: «Anche questo convento e la chiesa saranno colpiti, ma questa celletta (il suo confessionale, ndr) no, questa no! Qui Dio ha usato tanta misericordia alle anime; deve restare a monumento della sua bontà». Padre Pietro Bernardi, biografo del santo confessore, riporta un episodio “profetico” che anticipò di un decennio i fatti. Angelo Marzotto, amico e penitente di padre Leopoldo, raccontò: «Il 23 marzo del 1932, mi recai dai cappuccini. Entrato nel confessionale, trovai padre Leopoldo particolarmente turbato. Gli chiesi: “Padre, cos’ha? Sta poco bene?” “No, non sto male”. Continuai: “Le è forse successa qualche disgrazia?”. Il cappuccino rispose: “No, non mi è successo nulla”. Ma poi scoppiò in un pianto dirotto. Pressato da altre domande, finalmente disse: “Questa notte, durante la preghiera, il Signore mi ha aperto gli occhi e ho visto l’Italia in un mare di fuoco e di sangue!”». Purtroppo le parole di padre Leopoldo trovarono conferma. Due anni dopo la sua morte, la devastazione piovuta dal cielo il 14 maggio 1944 fece scempio dei luoghi della sua vita: vennero distrutti la chiesa e buona parte del convento dov’era vissuto. Ma nessuno dei suoi confratelli perse la vita. E intatte rimasero la statua della Madonna, di cui era devotissimo, e la celletta-confessionale dove, per quasi quarant’anni, aveva amministrato con generosità il perdono di Dio. Grazie al contributo di tanti padovani, chiesa e convento sarebbero poi “risorti” nel giro di pochi anni: già a fine 1947 era funzionante la chiesa, che nel 1950 venne consacrata. Ancora oggi, chi giunge a Padova, al santuario di san Leopoldo, avverte un senso di pace, quasi la presenza del santo in quella piccola stanza-confessionale con le poche cose che hanno fatto la sua vita: l’inginocchiatoio, la stola, la sedia, un crocifisso, un’immagine della Madonna. Un umile, ma eloquente “monumento” della bontà divina.

Andò così

A quasi settant’anni di distanza dai fatti siamo stati in grado di fornire una più precisa e, per certi versi, inedita ricostruzione dei fatti. Recenti documenti, di cui siamo venuti a conoscenza, ci hanno permesso di capire quanto accadde quel giorno di maggio. Senza poter escludere il coinvolgimento di altri velivoli, la formazione aerea che bombardò Padova era composta da B-24 “Liberator”, quadrimotore dell’azienda aeronautica Consolidated Aircraft. A raggiungere Padova il 14 maggio 1944 furono velivoli del “461° gruppo bombardieri” comandato dal col. Frederic Ernst Glantzberg. Il principale obiettivo dichiarato del bombardamento era la stazione di Padova-Campo di Marte, scalo ferroviario di smistamento, situato sulla linea PadovaBologna che collega il capoluogo euganeo a Rovigo, Ferrara, all’Emilia-Romagna, e all’Italia meridionale. Posta nei pressi dell’aeroporto militare di Padova, tale stazione fungeva anche da deposito ferroviario. In linea d’aria, il convento e la chiesa dei cappuccini distavano non più di 1.600 metri. Stando al resoconto militare americano, le devastanti bombe che distrussero la chiesa di padre Leopoldo dovevano essere tra quelle che mancarono l’obiettivo.

La ricostruzione della chiesa dopo il bombardamento

Il 12 luglio 1945, riparati alla meglio i danni e rimosse le macerie, si pose la prima pietra. La ricostruzione, su progetto di Giovanni Morassutti, terminò il 30 luglio 1946. La conclusione dei lavori di ricostruzione poté dirsi sostanzialmente ultimata nell’estate del 1947, e il 18 dicembre vennero inaugurati chiesa e convento. Il 14 maggio 1950, la consacrazione da parte del vescovo mons. Girolamo Bortignon, che dal 1° aprile 1949 era passato a reggere la diocesi di Padova. Anche il giorno scelto acquistava un significato particolare: era il 6° anniversario del bombardamento e della consacrazione episcopale del vescovo.

La corsa nelle cantine e nei piani interrati

C’era poco tempo per mettersi al sicuro nei rifugi. Bastano tre minuti agli ordigni per raggiungere terra dall’altezza di lancio di circa 10 mila metri. Meno ancora nel caso di lanci da una quota di 5.500, come sembra sia accaduto in questo caso.

Giovanni Lazzara
Direttore di Portavoce, periodico di San Leopoldo Mandic

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