Petrarca Rugby. Andrea Trotta: il capitano che oggi è diventato uomo

Andrea Trotta guida la squadra padovana da cinque stagioni. Racconta gli esordi a Roma e l’importanza di sentirsi parte del gruppo. A 29 anni ha già una lunga carriera sportiva alle spalle e in futuro, forse, ci sarà l’informatica...

Petrarca Rugby. Andrea Trotta: il capitano che oggi è diventato uomo

Andrea Trotta, capitano del Petrarca Rugby. «Lì a Roma ce ne sono tanti di circoli tipo quello della Canottieri qui a Padova e in quello che frequentavo c’erano degli amici di mio padre che erano legati al rugby. Già da piccolo ero fisicamente alto, giocavo a tennis e mi son detto perché non provare? Anche un mio compagno di scuola faceva rugby e poi, io che ero scout, mi attirava provare uno sport di squadra: ho deciso insomma di andare. Me lo ricordo ancora quel primo allenamento, avevo 13 anni, lì a Villa Pamphilj, nel parco, non eravamo nemmeno su un campo, giusto per iniziare a conoscere il gioco». Il percorso. «In effetti iniziare a 13 anni era un po’ tardi: Rugby Roma, c’era la categoria Élite e la Regionale, ho iniziato da quella, le cose le apprendevo velocemente e presto sono passato con l’Élite, partite diverse, mi ricordo quella con l’Aquila e nel mio secondo anno, ecco che un selezionatore della Federazione mi convoca per quelli che erano al tempo i centri zonali, non me l’aspettavo. Da lì è iniziato il mio percorso nei centri di formazione regionale, a 16 anni sono passato all’Accademia zonale, sempre lì a Roma, dal lunedì al venerdì, scuola-studio-allenamenti. Poi a Tirrenia, la Nazionale U16, l’U17 e tutto quello che è seguito…». La squadra, il gruppo. «Quel che mi ha proprio preso col rugby è il fatto d’essere dentro a un gruppo e in effetti se da una parte me ne ricordo in fondo poche di partite, quello a cui invece subito penso è l’amicizia con tante e tante persone che continuavo a conoscere e che facevano giusto quel che piaceva anche a me. Sì, è principalmente la molla del gruppo quella che continua a motivarmi per andare al campo e parlando ancora di ricordi, sono i post partita quelli che più mi sono rimasti dentro, ancor più quand’ero piccolo, quanto mi divertivo». Il gruppo, ancora. «Col tempo le cose sono un po’ cambiate, è vero, il tutto non ha la valenza dei primi anni, però non è che mi senta nemmeno troppo “professionista”. Il gruppo rimane ancora il riferimento principale, non è insomma solo far parte di una squadra, li sento quelli che smettono: non è tanto il giocare quel che viene a mancare, quanto la quotidianità della squadra, del gruppo, dello stare assieme». Un “lavoro”… «Certo che mi ritengo fortunato, in parte ora il rugby è pure un “lavoro” che certo fisicamente e mentalmente prende parecchio, senza però essere le classiche otto ore e la fortuna è giusto quella di fare qualcosa che piace, all’aria aperta, guadagnando pure più di un operaio. So che il mio, il nostro, è un percorso diverso e so che chissà quanti vorrebbero fare qualcosa di simile». Esperto. «Magari i primi anni mi stavo, come dire, “sistemando”, sono uscito presto da casa, alcuni riferimenti così mi mancavano, non le vedi per dire a 15-16 anni le cose della casa, però sono stato e sono uno “serio”, come dici tu, di mio abbastanza “quadrato” e dedicato. Ora mi ritrovo che ne ho giocate tante di partite e so bene che le sensazioni che provavo prima, quell’adrenalina mista pure a un po’ di ansia, non sono più quelle di un tempo, forse tornano un po’, ecco, per le finali-scudetto, la Coppa Italia, il derby col Rovigo». Capitano /1. «Il primo anno da capitano – e devo dire che già comunque l’anno prima circolava la voce – lo sono stato per scelta della squadra, un periodo quello, s’era nella pre-stagione, in cui ci si conosce, si vede e s’impara. Allora c’era così l’allenatore che chiedeva un po’ a tutti chi avrebbe potuto farlo; lo fece anche con me, al che gli confermai che nel caso me la sarei sentita di farlo…». Capitano/2. «No, non sono un capitano che attacca al muro, certo che no, però se c’è da arrabbiarsi non mi tiro indietro. Conosco il rugby e il significato del mio ruolo, sono uno che mostra e fa quel che dice e credo pure di “vedere”, guardo e osservo. Con gli arbitri? Ormai li conosco tutti e loro conoscono me, è cinque anni che sono il capitano, sanno come mi comporto. A volte forse parlo un po’ troppo, come detto conosco il rugby, con le sue regole, ma mi rendo conto che ultimamente magari vado un po’ oltre, vedo qualcosa che non va e lo faccio subito presente. Sempre con rispetto, questo è sicuro, però diciamo che sto cercando di focalizzarmi più su me stesso, di “staccarmi”». Scelta/1. «Se potevo fare di più? Mah, è qualcosa a cui non sto molto dietro, ma è una domanda che da qualche parte c’è dentro di me: in tanti sempre a chiedermi come mai non avessi fatto quel salto in più, arrivare per esempio alle franchigie, alla Benetton o alle Zebre, un “sogno” a cui ogni tanto mi capita ancora di pensare. Forse a suo tempo potevo fare delle scelte diverse, dopo le Nazionali giovanili e l’Under 20 c’era stato chi mi aveva consigliato di passare alle Fiamme Oro, che sarebbe stata quella la soluzione per puntare appunto alla Benetton o alle Zebre, ma col procuratore decidemmo invece di passare al Mogliano e fu un anno “perso”». Scelta/2. «Un’altra scelta che avrei potuto fare, per quel salto di qualità che tutti si aspettavano da me, sarebbe stata quella di dedicarmi per davvero a potenziarmi, a guadagnare chili necessari per stare a un livello più alto. Magari poteva c’entrare pure il mio metabolismo, ammetto che m’è rimasto il dubbio; riconosco che non mi sono mai dedicato al cento per cento, ho provato a crederci ma non sino in fondo». E dopo? «Ci sto pensando, vedremo un po’, non è che fare il rugbista ti permetta poi chissà che. Ho sì fatto il corso da allenatore, magari potrei provare con delle squadre giovanili, ma non lo vedrei, ora come ora, come un lavoro, piuttosto un hobby, un di più. Comunque sia non penso di tornare a Roma, per il mio futuro mi vedo insomma qui a Padova e già ci lavoro, come informatico, per un’azienda che è sponsor del Petrarca».

Capitano da cinque stagioni dopo la gavetta

Classe 1994, 1,96 cm di altezza per 105 kg, Andrea Trotta è cresciuto nella Nuova Rugby Roma e ha fatto parte dell’Accademia Federale di Roma, entrando poi in quella di Tirrenia nel 2012. L’anno successivo si è trasferito al Mogliano con la cui maglia ha fatto l’esordio in campionato e in Challenge Cup. Al Petrarca è arrivato nell’estate del 2014 ed è capitano della squadra bianconera da cinque stagioni (due scudetti e due Coppe Italia). Con la Nazionale Under 20 ha disputato lo Junior Trophy del 2013 e il Mondiale del 2014, giocando pure con l’Italia Emergenti e quella Seven.

Petrarca Rugby a Padova da oltre 60 anni

La sede del Petrarca Rugby è in via Gozzano 64, quartiere Guizza, presso gli Impianti Memo Geremia. Con il Rugby Junior sono in 400, dai 6 ai 40 anni, i giocatori che indossano ogni domenica la maglia del Petrarca, per un totale di 15 squadre.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)