Natale del Signore Messa nella notte *Sabato 25 dicembre 2021

Luca 2, 1-14 

Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.
Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.

È apparsa la grazia di Dio

I giorni del Natale sono quelli che più di tanti altri si aspettano con un significativo carico di attese, tenerezza, speranze… e che, per molti di noi, poi si riducono a un desiderio non colmato, a una nostalgia malinconica. Le tante luminarie che abbelliscono le vie del centro e le calde fantasmagorie di luce proiettate sulle antiche facciate di palazzi e chiese affascinano e dicono l’interiore bisogno di luce, direzione e vita che portiamo nel cuore. Eppure, da qui a qualche giorno si tornerà a vivere come se niente fosse avvenuto e il dono delle feste sarà come uno di quei regali dimenticati, quelli che nemmeno si scartano, messi in un angolo.
Pare a me che spesso le feste si vivano così, senza incontrare il festeggiato, senza vivere il motivo che si festeggia e proprio questo modo fa sì che, alla fine, le feste stanchino.

Leggo le Scritture della Messa della notte di Natale: sì, sono quelle che si leggono ogni anno… ma sono io a non essere sempre lo stesso, e così lascio che gli occhi si fermino lì dove qualche parola mi aspetta e mi chiama per nome.
Ecco alcune righe tratte dalla lettera che Paolo scrive a Tito, il discepolo divenuto amico.
Sembrano parole, così pare a me, pronunciate come se Paolo stesse dicendo a se stesso un pensiero che ha nel cuore, come se confidasse qualcosa a Tito, rivelandogli una certezza che lo aiuti a vivere la vita come dono e non come fatica.
«È apparsa la grazia di Dio…»: con queste poche parole Paolo descrive il Natale, ciò che la nostra fede chiama Mistero dell’Incarnazione.
E mi domando: che cos’è la grazia di Dio?
Alle tante definizioni che si trovano nei catechismi, ne aggiungo una personale, così, senza pretese. Guardo all’esperienza e riconosco che la grazia di Dio si manifesta in quella forza che fa stare al proprio posto anche quando le difficoltà, le perplessità, le confusioni interiori, le incomprensioni, le inquietudini vengono ripetutamente a bussare alla porta del cuore; è quella forza silenziosa e umile che nonostante tutto, fa continuare a compiere con serenità e con l’amorevolezza di cui si è capaci, quel che si è scelto di fare.
La grazia di Dio è quella forza, tutta interiore, che viene dal sentirsi cercati, accolti, voluti bene e che diventa poi fonte di libertà davanti alle critiche, ai rifiuti e alle avversità. La grazia di Dio si manifesta nel saper vedere meglio, con più trasparenza, ciò che la vita propria o altrui può diventare, la grazia di Dio mette un po’ di cuore negli occhi e li rende capaci di attenzione e lungimiranza.
La grazia permette di riconoscere le trappole nascoste in ogni possibile condizionamento e dipendenza. Non fa coincidere il valore della sincerità con la variabilità dell’umore e chiama per nome le seduzioni che si mascherano di bisogni.
La grazia di Dio libera dalla paura, da ogni tipo di paura, senza per questo far diventare ingenui e sfrontati.  
Grazia di Dio è imparare a guardare negli occhi la propria fatica per prenderla poi per mano. Grazia di Dio è andare dentro ai propri giorni senza sentirsi in gara con nessuno. Grazia di Dio è sentirsi contenti, puliti, a posto.
Non è cosa che riusciamo a darci da soli, ma è generoso dono che Dio offre ripetutamente a ciascuno, in molti modi, soprattutto con la preghiera, incontrando e lasciandoci incontrare dalla sua Parola, celebrando e custodendo il dono che portano i sacramenti, custodendo la vita con i piccoli atti che la fanno più buona.

La "grazia" di cui Paolo scrive a Tito è Gesù, «che insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà». L’empietà da rinnegare è quella convinzione, radicata in ciascuno, che il proprio modo di vivere sia la misura della verità. Empietà è valutare i nostri atti come sempre buoni e le proprie azioni sempre giuste; è quando si giudica il proprio modo di credere e di vivere la fede il più autentico e coerente possibile... 
Empietà è non cercare confronti, non voler progredire, è ingessarsi in se stessi, chiudere le porte ad ogni possibile miglioria o autenticità, far di sé i maestri di cui il mondo e i nostri vicini, hanno bisogno.

A rimedio di questo vivere senza portare frutto, Paolo indica tre cose che Gesù ha vissuto: sobrietà, giustizia e pietà.
Trovare nutrimento nel tempo che ci è dato di vivere, nel posto in cui siamo, nelle occasioni che ci vengono offerte, non sciupare le opportunità, imparare che ognuno è sempre più importanti di quel che pare a noi, gustare il buono che c’è, riconoscere il dono che c’è in noi stessi e in ciascuno come ciò di cui abbiamo bisogno e di cui c’è bisogno, fare la propria parte senza lasciarsi prendere dalla mania di essere considerati vincenti… ecco alcuni possibili modi di vivere la sobrietà. 
La giustizia che Gesù ha vissuto è quella di chi fa verità, di chi non identifica la storia di ciascuno solo con gli sbagli commessi. Non è la giustizia di chi giustizia, ma di chi, perdonando, dona chiarezza e concretezza alla possibilità di diventare il meglio che si può essere: veramente se stessi.
E la pietà che Gesù ha vissuto e donato è quella di chi si sente accompagnato, guidato, benedetto, protetto da qualcuno di più grande e che per questo guarda alla vita e alle persone con amore di madre e di padre, vincendo ogni rancore per ogni mancata risposta.     
Egli ha dato se stesso per noi. Ecco il Natale, ecco il motivo e la forza di questa festa: c’è qualcuno che mi vuole bene, che ci vuole bene.

Propongo questo esercizio spirituale.
Mi metto davanti al presepio di casa, senza fretta… e lì, con calma, penso alle persone che mi hanno voluto o che mi vogliono bene… e poi mi chiedo: cosa mi ha donato questo loro bene? Cosa provo dentro di me nel ripensare a queste persone? Concretamente, come posso rispondere a questo bene? 
Provo poi a rileggere quello che Paolo scrive a Tito. Guardo Gesù bambino e mi ripeto la frase di Paolo: «Egli ha dato se stesso per noi…», per me.
Magari provo a ripetermi più volte, con calma, quest’ultima frase. 
E ancora mi chiedo: cosa dice a me questa frase, cosa suscita nel cuore? Concretamente, come posso rispondere a questo bene? Concretamente…

Buon Natale!

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