V Domenica del Tempo ordinario *Domenica 16 febbraio 2020

Matteo 5, 13-16

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».Sale e luce, cioè come diventare se stessi

A leggere questi paragoni che Gesù offre, mi viene in mente una frase di Kierkegaard che qui riporto. Mi colpì molto quando la lessi: erano gli anni della formazione filosofica, in seminario. Evidentemente toccò qualche corda dentro di me e me la trascrissi da qualche parte. È tratta dal suo Diario e dice così:

«Ciò che in fondo mi manca è di veder chiaro in me stesso, di sapere “ciò ch’io devo fare” (At 9,6) e non ciò che devo conoscere, se non nella misura in cui la conoscenza ha da precedere sempre l’azione. Si tratta di comprendere il mio destino, di vedere ciò che in fondo Dio vuole ch’io faccia, di trovare una verità che sia una verità “per me”, di trovare “l’idea per la quale io voglio vivere e morire” [...] ma per trovare quest’idea o meglio per trovare me stesso, non serve a nulla l’ingolfarmi ancor più nel mondo. Era proprio questo ch’io prima facevo».

È una fatica che ancora si ripropone, a tutte le generazioni e a tutte le età, quella di trovare “una verità per me”. Mi pare sia una buona didascalia al brano del vangelo di questa domenica.

Gesù ricorda una verità di cui sento in me un’eco profonda e chiara, ma di cui paradossalmente non ho ancora piena e matura consapevolezza: nessuno è stato chiamato alla vita e mandato in questo
mondo per ripetere quello che già c’è o per riproporre quello che già c’è stato. A ciascuno è stata data una responsabilità: portare un sapore nuovo, sconosciuto, necessario alla crescita della vita e al
compimento della creazione.
A parole crediamo che sia davvero così, poi nei fatti della quotidianità, quel che ci lascia sempre molto perplessi è la diversità, di quel che c’è e di chi c’è.
Un figlio non è o non fa come ci si aspettava dovesse essere o fare: questo non va bene. Una nuora o un genero non sono, a modo di vedere dei suoceri, come dovrebbero essere: questo non va bene.
Un giovane propone una soluzione nuova per risolvere o gestire una questione lavorativa, e questa viene bocciata perché non corrisponde alle idee o alle direttive di chi dirige il tutto.
Un prete propone qualche nuova iniziativa per ravvivare qualche settore della pastorale, ma tutto ciò viene guardato con sospetto dai preti più anziani che scrollano la testa e viene boicottato dai parrocchiani timorosi di novità. 
Ciò che è diverso viene sempre guardato con sospetto, eppure è la diversità a salvare la vita.
E così succede, quasi sempre, che per timore di non sentirsi amati a causa della propria diversità di modo, i bambini “facciano i bravi”; succede che alcuni genitori, temendo di non essere amati dai figli, si facciano loro complici e rinuncino  alla fatica educativa; succede che i ragazzi e i giovani, per paura di star da soli, rinuncino alla propria unicità preferendo il calduccio dell’anonimità del gruppo; succede che anche gli adulti, nel timore di non saper seguire o curare le proprie intuizioni, salgano nel carro della maggioranza, lì dove ci sono sempre tanti posti a disposizione.

È così impegnativo prendere sul serio questo Vangelo, credere davvero che nella  vita di ciascuno, anche nella mia, ci sia un sapore che altri non hanno e che non c’era prima di me; credere che in me c’è una luce capace di illuminare qualcosa che aspetta questa luce per vivere. 
Trovo sempre nuova e forte e liberatoria e da riscoprire e da vivere bene la forza di questa  parola di Gesù: nessuno è nato per “accontentare” nessuno, ma per poter essere se stesso ed essere felice di sé.
Essere sale e luce: non devo “soffocare” me stesso per “accontentare” l’idea che il padre, la madre, il marito, la moglie, il capo, il vescovo, la gente ha di me: se vivessi solo per questo tradirei la vita e ingannerei me stesso, creandomi fin d’ora l’inferno.
Eppure è così facile scivolare e stare in questo modo di essere, che quando lo si fa sembra poi perfino normale. È questo il modo di essere che spegne la vita facendola sprofondare nel labirinto della ripetizione, nel non saper alzare più lo sguardo “oltre” e “altrove”, nel sentirsi bene perché si riceve il consenso di chi conta e non di chi vale.

Sale e luce: nessuno lo è del tutto e sempre, neanche i migliori tra di noi. Riconosco in me tante insipienze e il permanere di tante oscurità. 
Sì, anche alla mia età.
E allora che si fa? Non ci si rassegna e si fa lo stesso e comunque. La vita che ho è l’unica a mia disposizione e dipende da me scegliere di non diventare ancor più insipiente, timoroso, ripetitivo, ruffiano, incapace di opinioni personali, di chiarezza, esperto di copia e incolla, spento e nostalgico.
Non è mai troppo tardi, mai, per mettersi a cercare la verità guardando dentro al proprio temperamento, alle proprie intuizioni, alla propria umanità, mettendo il tutto sempre in confronto con Gesù, l’unico che è sale e luce.
Ecco: per non confondere il diventare se stessi – sale e luce – con un patologico narcisismo, che tanto abita questo tempo, bisogna sempre confrontarsi con Gesù, con le sue parole e con i suoi modi. Quando i miei modi e le mie parole, anche come credente, non saranno solamente un atteggiarsi, ma quando diventeranno un’autentica concretezza di vita, allora vorrà dire che sarò incamminato sulla buona strada.

Suggerisco questo semplice esercizio da fare ogni giorno.
* Scelgo un tempo per fermarmi e guardare con onestà e affetto al vissuto quotidiano.
* Verifico me stesso richiamando le parole che ho detto, ripassando i modi con cui ho guardato, rincorrendo i pensieri più nascosti del mio cuore, vedendo anche i messaggi mandati, il tono con cui ho parlato, i suggerimenti o i consigli eventualmente dati… e mi chiedo se chi mi ha incontrato, letto, ascoltato, guardato… è andato via da me meglio o peggio di com’era prima di incontrarmi.
* Chi mi ha incontrato (le persone di casa mia, le persone con cui sto più a contatto, quelle che incontro occasionalmente), anche grazie anche a me, ha trovato un aiuto per individuare il proprio sapore o se n’è andato più spento e impaurito?
Proviamo.

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