XXVI Domenica del Tempo ordinario *Domenica 27 settembre 2020

Matteo 21, 28-32

In quel tempo Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». 
Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

Ognuno ha il suo modo di zappare...

 

Ancora una domenica con un invito al lavoro. Mi piace molto animare gli incontri dei fidanzati, ascolto con attenzione e anche con commozione le loro storie, ciò che dicono sulla loro esperienza di amore, ciò che sono in procinto di imparare, quello che desidererebbero curare e diventare. Stare con chi vive l’entusiasmo degli inizi è risanante perché queste persone sono come l’acqua di sorgente e in chi ha il coraggio di incominciare qualcosa di nuovo, sembra tangibile la benedizione di Dio.
Ascolto quello che dicono e mi piace suggerire loro qualche domanda per aiutarli a verificare come intendono dare una concretezza nel quotidiano al sentimento che vivono. Ogni relazione si coltiva anche grazie a saper condividere con responsabilità le incombenze quotidiane: chi paga le bollette? Chi si occupa della spesa? Chi porta fuori i rifiuti? Certo, le mie domande sono un po’ impertinenti e non sono queste le cose più importanti nella vita di una coppia, però... Se quotidianamente non ci si prende cura di ciò che si desidera, di ciò che si è scelto e che la vita ci ha affidato, giorno dopo giorno anche le cose migliori, si fermeranno e si spegneranno.
Va’ a lavorare nella vigna!
Uno dei mali del nostro tempo sta nell’illusione di diventare uomini e donne, persone affidabili, contente e forti, così: automaticamente, per il solo trascorrere del tempo.
L’esperienza insegna che la vita non funziona così. Purtroppo, si può essere adulti senza essere responsabili e rimanere per sempre inconcludenti e superficiali. Si può invecchiare senza aver imparato niente ed essere sciocchi, pigri e capricciosi nonostante i capelli bianchi.
Va’ a lavorare nella vigna! 
Non esiste vita che per diventare buona non sia abitata dall’impegno personale che costa sempre fatica.
Per quanto mi riguarda riconosco presente in me il rischio che basti pensare e desiderare una cosa, vivere un valore, realizzare una iniziativa particolare, raggiungere una meta... per illudermi di averla già raggiunta, realizzata, imparata, conquistata. Ma non funziona così. Un piccolo e banale esempio: non basta avere una cucina da migliaia di euro, e magari accessoriata di ogni possibile elettrodomestico, per essere dei buoni chef. Se non ci si esercita, non si impara. Anche nella fede: la promessa, da sola, non sta in piedi. È necessario l’impegno personale per realizzarla ogni giorno. 
Impegno personale vuol dire non fidarsi troppo di se stessi, ma prendere in mano la propria zappa e imparare a prendersi cura del campo della propria vita. Vuol dire rimanere, qualunque sia l’età che abitiamo, un po’ apprendisti che si stanno esercitando nell’arte del vivere, del pensare, dell’amare, del diventare genitori, del custodire la forza, del non perdere la speranza, dello scusarsi, dell’essere persone felici... 
Va’ a lavorare nella vigna!
Nulla viene senza impegno personale: ricordo mio padre che al mattino, d’estate, chiamava me e mio fratello ad alzarci per andare a lavorare e vedendo la nostra fatica a lasciare il letto, diceva un proverbio veneto: «Dei cari dei... che el caldo del leto no scalda ea minestra!».  
Mi pare sia anche questo il messaggio della frase del Vangelo. Il Padre della parabola, Dio Padre, conosce l’indolenza e la pigrizia dei figli (noi) che li porta a essere ripetitivi e poco responsabili e per questo dice: Dai, datti da fare! Prova, scopri, inventa, tenta!
Spesso anche noi come i figli adolescenti, davanti a ciò che viviamo con fatica, con trepidazione, con disagio diciamo «no!». Di fronte a quello che smuove la sicurezza raggiunta e una certa ripetitività del vivere diciamo «no!». Davanti a ciò che è nuovo e diverso da quello che sappiamo e facciamo, la risposta è «no!».  Ma se la vigna non viene coltivata, muore. E coltivare non vuol dire solamente ripetere ciò che si è sempre fatto, ma provare a declinare in nuove modalità il buono che ci ha sostenuto, esprimerlo con intelligenza, coraggio e generosità secondo i bisogni e le domande che i tempi propongono e le persone cercano.  Coltivare vuol dire custodire e custodire vuol dire tenere in vita perché i frutti vengano a tempo opportuno.
Va’ a lavorare nella vigna, nella tua comunità, nella tua famiglia, in questo tempo, nella tua via, nelle tue amicizie, nella tua intelligenza, nel tuo lavoro...  
Tornare a prendersi quotidiana cura della vita, risana gli animi, apre a nuove prospettive e fa raggiungere anche mete che sembravano irraggiungibili. 
Questo è vivere la fede: fare quel che dice il Padre e il Padre ci dice di mettere cura nelle cose della vita, fin da quando siamo ragazzi; nei giorni di entusiasmo e in quelli della delusione, quando abbiamo dei buoni compagni e quando siamo da soli, quando ci sembra che il frutto stia per maturare e quando bisogna ricominciare dopo qualche imprevisto... e così giorno dopo giorno.
Penso infine che ognuno ha un proprio modo di zappare la vigna: nessuno è chiamato a emulare quanto altri hanno già fatto, ma ciascuno deve portare il proprio contributo con i propri strumenti e la propria sensibilità, per ottenere maggior cura nell’obiettivo di migliorare il raccolto e lo stato della vigna.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)