XXXIII Domenica del Tempo ordinario *Domenica 13 novembre 2022

Luca 21, 4-19

XXXIII Domenica del Tempo ordinario *Domenica 13 novembre 2022

Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».

Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».

Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.  Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Quando la vita non è come ci piacerebbe, come si era pensato potesse diventare, che accade? Quando nella vita di coppia c’è poca corrispondenza, quando non si riesce più a chiarirsi e a stare insieme si prova solo fatica, che si fa? Quando i figli compiono scelte di vita che vanno in direzioni del tutto diverse da quel che si è insegnato loro, che succede? Quando con l’andar degli anni il fisico non tiene o non risponde più come negli anni della gioventù, che cosa si prova? Come si reagisce? Quando le chiese si svuotano e il cristianesimo sembra non parlare più alle nuove generazioni, che pensieri ci abitano?

Quando i patronati rimangono vuoti e quando i ragazzi e le famiglie svaniscono dopo i sacramenti, come si reagisce a quel che si prova in se stessi? Quando le “belle pietre e i doni votivi” del tempio si sgretolano o cadono, che si fa?

Un certo impianto di cristianesimo, quello in cui noi adulti siamo cresciuti, non tiene più. Un certo modo di vivere la tradizione l’ha ridotta a rievocazione folcloristica. Un certo modo di celebrare ha ridotto la liturgia a corretta esecuzione. I linguaggi che usiamo non parlano più o parlano molto poco il linguaggio delle persone e del loro vissuto. 

La sovrabbondanza delle “belle pietre e dei doni votivi” di cui nel corso dei secoli la Chiesa si è dotata, se non è abitata e animata da una comunità di persone e dal loro vissuto, tramuta le chiese in conservatorie, in musei nei quali si entra a curiosare o, se va bene, in luoghi in cui si può trovare del silenzio. 

Il Tempio, per usare l’immagine evangelica, di questi anni non tiene più, e ciò non significa che la fede sia finita. Stiamo diventando, almeno in questa parte del mondo, sempre più minoranza: c’è chi si illude che questo status sia solo momentaneo, ma, a mio parere, non sarà così. Volenti o nolenti si dovrà rinunciare a molte “belle pietre” e anche ai “doni votivi”. A riguardo basta solo far due conti sul costo di cui abbisogna la manutenzione delle strutture comparandolo sulla quantità dei soldi che si raccolgono durante le celebrazioni, a quel che viene spontaneamente dato alle parrocchie… 

Se è finito un certo modo di proporre il cristianesimo non è detto che il cristianesimo sia finito. Chi (prete, religioso, laico) continuerà a definire la bontà della propria vita e la consistenza del messaggio che annuncia nel riproporre con ostinazione maniacale modi e forme che appartengono al passato, più che annunciare di Vangelo, ha tramutato se stesso in custode di un passato. 

Che si deve fare? «Badate bene di non lasciarvi ingannare…». Credo che questo sia il tempo, forse più di altri, in cui è davvero facile ingannarsi cercando e correndo dietro – anche nel mondo della politica – a chi si propone come risolutore deciso, unico e incontestabile, di ogni questione. Ci si inganna quando si consegna a qualcuno la propria capacità di pensare, di valutare, di giudicare e di scegliere. Un buon profeta, un buon educatore non è chi propone se stesso o quel che fa o quello che decide come unica misura per tutti, ma è colui che prova, vive e suggerisce modi che aiutino a stare nella vita con più consapevolezza e con maggior assunzione di responsabilità. È sempre stato difficile vivere la responsabilità, e la tentazione di andare a mettersi pigramente nel gruppo di chi esegue senza mai chiedersi se si possa vivere, pensare, credere, pregare, educare, celebrare in modo diverso è sempre presente. L’alternativa o la via da percorrere non è la stravaganza: ogni esagerazione è sintomo di immaturità ed è espressione di una forma di vuoto interiore. 

All'inizio del testo ho proposto alcune domande, a modo di esercizio spirituale, che avevano lo scopo di renderci coscienti che fino a quando si percorre la strada del “facile” non si sta dando davvero testimonianza: «Pensavo fosse fede, e invece era solo salute», è una frase di non ricordo quale prete, che vivendo le cure per combattere un cancro ammetteva con onestà coraggiosa la fatica del credere in periodo di grande difficoltà, debolezza e crisi. 

Finché il “Tempio” è pieno, finché il valore di quel che si crede è condiviso da molti e segna il passo di tutti, allora tutto va bene, e si crede di avere fede… ma quando la soddisfazione di quel che si fa scompare? Come si reagisce? Come si descrive ciò che si vive? Come si parla delle persone? Che si fa? Gesù dice che proprio quando il Tempio non ci sarà più, quando si vive in qualche modo la persecuzione, allora, proprio allora «avrete allora occasione di dare testimonianza». E la prima testimonianza è riconoscere, anche dentro a queste situazioni e a questo tempo, che la forza di cui abbiamo bisogno non viene dalla salute, dal successo che raggiungiamo, dall’intelligenza dei propri piani (nemmeno da quelli pastorali). La forza per stare lì dove la vita, l’età, i tempi, le occasioni ci portano o ci impongono di vivere è frutto di un rapporto personale, autentico, costante, quotidiano da vivere con il Signore: «Io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere» 

La perseveranza da vivere, quella che salva la propria anima, la propria identità, non consiste nell’insistenza o nella ripetizione, ma è il modo con cui chi vive una passione cerca di realizzarla, riconoscendo che può sempre migliorare. È la virtù degli artigiani, degli artisti, dei poeti, è la virtù che impedisce al voler bene di considerare come traguardo quel che crede di aver raggiunto.

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