Maurizio Molinari, direttore de La Stampa, a Padova: «All'Italia manager globali»

Molinari ha incontrato al cinema Mpx gli studenti iscritti al corso triennale di economia dell’università di Padova sul tema “Economia e società in un mondo che cambia”. Dagli Stati Uniti all’Italia, dalla crisi eoconomica alla globalizzazione, i nodi cruciali dello scenario.

Maurizio Molinari, direttore de La Stampa, a Padova: «All'Italia manager globali»

Il direttore del quotidiano La stampa Maurizio Molinari ha incontrato al cinema Mpx di Padova gli studenti iscritti al corso triennale di economia dell’università di Padova. A partire dal tema “Economia e società in un mondo che cambia”, Molinari ha toccato diversi temi di attualità a cominciare dal primo confronto televisivo tra i candidati alla presidenza degli Usa. «Entrambi hanno dimostrato carattere e leadership, lo scontro è stato spettacolare: la Clinton è stata molto presidenziale nell’atteggiamento, vestita di rosso (colore del combattimento), forte sui temi economici e brava ad incalzare l’avversario su alcuni suoi punti deboli. Trump si è dimostrato più abile sui temi della sicurezza, non ha attaccato con colpi bassi, ma ha puntato sulla fuga del lavoro all’estero, la sicurezza nelle città, la criminalità. Per me è stato un pareggio ed entrambi si sono mostrati capaci di fare il presidente».

Quanto il voto dell’8 novembre negli Usa influirà sul resto del mondo?
«Quella americana è ancora la più grande economia mondiale, ma non sono convinto che sarà altrettanto dal punto di vista politico: stanno crescendo Russia e Cina e stiamo andando verso un mondo multipolare, nel quale riemergono le piccole e medie potenze, si frantumano le nazioni del Medio Oriente e dell’Africa, e anche l’Europa si interroga sul ruolo della Germania».

Come si possono conciliare le esigenze della macrofinanza globale e dei grandi sistemi economici, con la vita quotidiana di tante persone che faticano con la gestione della vita quotidiana e domestica?
«Questo malessere diffuso del ceto medio accomuna molti paesi europei, Italia compresa, e l’America: è l’elettorato scontento a cui punta Trump nella campagna elettorale. L’accusa è contro l’establishment che non ha fatto nulla per evitare la crescita delle differenze tra ricchi e meno ricchi. Il problema esiste e tocca ai governati affrontarlo».

Dopo tanti anni a New York lei è tornato in Italia da meno di un anno. Cosa la colpisce nel bene e nel male?
«Gli italiani sono dei grandissimi lavoratori, anche più di altri popoli del mondo, sono dei grandi e geniali creatori. Il problema è che tutto questo duro lavoro non produce ricchezza, o comunque meno di quanto potrebbe. Ci manca una classe di manager: la gran parte delle aziende sono familiari e non riescono a cogliere e ad affrontare le sfide del mercato. La globalizzazione dell’economia paradossalmente dovrebbe rafforzare l’Italia e non indebolirla. Servono però persone capaci di gestire il flusso di produzione e far arrivare le nostre eccellenze sul mercato».

Col prossimo gennaio nascerà il più grande gruppo editoriale italiano, con la fusione tra It.Edi. (La stampa e Il Secolo XIX) e le testate del gruppo Espresso. Il duopolio con il Corriere di Cairo porterà dei vantaggi?
«Credo che i benefici saranno sia per i lettori, sia per le aziende (che faranno forti economie di gestione, come sulla stampa e la distribuzione), sia per i posti di lavoro che ritengo cresceranno».

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