Musulmani d'Italia, «un popolo diviso, e ancora senza voce»

Franco Pittau spiega le caratteristiche degli 1,6 milioni di immigrati di religione musulmana residenti nel paese. Il giornalista pakistano Ahmad: «Mondo variegato in cui il multicuralismo è una ricchezza. L'Islam moderato non è unito e non ha strumenti per spiegare la propria religione».

Musulmani d'Italia, «un popolo diviso, e ancora senza voce»

Sono un milione e 628 mila i musulmani in Italia: la maggior parte (420 mila) proviene dal Marocco, seguono gli albanesi (oltre 350 mila), le persone originarie di Tunisia e Bangladesh (80mila), i pakistani e i senegalesi (circa 70 mila) e poi nigeriani, algerini e turchi, che sono la minoranza.
Un mondo variegato e complesso su cui oggi più che mai non bisogna cedere, sulla scia dei fatti di Parigi, a facili semplificazioni e generalizzazioni. A sottolinearlo sono le associazioni degli immigrati in Italia e i rappresentanti delle diverse comunità di stranieri. Il timore, infatti, è che passi nell’opinione pubblica l’equazione musulmano uguale terrorista.

Ma chi sono i musulmani in Italia?
«L’islam si differenzia molto a seconda delle nazionalità di riferimento – spiega Franco Pittau, coordinatore del centro studi Idos, che cura il dossier statistico Immigrazione per conto dell'Unar – La comunità più presente nel nostro paese è quella marocchina. E in Marocco c’è il livello più alto di tolleranza religiosa». Seguono poi gli albanesi, che non rivendicano quasi mai l’appartenenza religiosa e i tunisini.
«Ci sono moltissimi musulmani moderati, ma anche persone originarie di paesi dove l’integralismo religioso è più forte – spiega – ma va detto che molto spesso la condizione di immigrato è anche un modo per fare un passo avanti rispetto al paese di origine e il modo di intendere la religione. In questo è fondamentale il livello di integrazione, e come emerge dagli ultimi dati a nostra disposizione l’immigrazione in Italia è ormai fatta soprattutto di ricongiungimenti familiari. Di persone cioè già integrate che fanno venire qui anche il resto della loro famiglia, mentre sono sempre meno quelli che arrivano in cerca di lavoro».
Secondo Pittau non bisogna dunque generalizzare o stigmatizzare gli immigrati musulamni perché «ogni religione ha in sé i semi di libertà», ma si dovrebbe lavorare di più con le associazioni che rappresentano gli stranieri nel nostro paese perché possono fare da mediatrici e lavorare per una vera integrazione.

Le differenze tra Italia e Francia
Sulla stessa scia anche Ejaz Ahmad, giornalista pakistano, caporedattore del giornale in lingua urdu per pakistani in Italia Azad, e membro della Federazione europea degli islamici moderati.
«Il caso dell’Italia è molto diverso da quello della Francia, perché non si tratta di un paese colonialista e qui non ci sono i cosiddetti quartieri ghetto – spiega – La maggioranza dei musulmani in Italia è sunnita, ma la varietà di paesi di origine è vasta. Non c’è il confiltto che vivono i paesi post colonialisti, c’è invece un multiculturalismo che è innanzitutto una ricchezza».
Ahmad invita poi a fare chiarezza e attenzione ai termini dopo i fatti di Parigi. «I fondamentalisti sono estremisti, non sono islamici, perché per l’Islam chi uccide una persona uccide un’intera umanità – sottolinea – Il Corano non permette ai singoli di fare jihad, solo il califfo può decidere, un califfo dichiarato e non auto dichiarato come Baghdadi in Siria. E poi in caso si fa sempre contro gli infedeli, non contro altri musulmani o i giornalisti. Ma questo non lo sentiamo dire da nessuna parte. L’islam è una religione spirituale e terrena, diversa dal cattolicesimo, ma per spiegarla al popolo italiano e alla maggioranza non abbiamo strumenti. Non siamo rappresentati, non abbiamo spazi nei giornali e in tv, così i nostri messaggi non arrivano, mentre arrivano a tutti quelli di Santanché e Calderoli».

Anche molti musulmani tra le vittime del terrorismo
Il giornalista ricorda anche le tante vittime musulmane degli attentati degli ultimi mesi. «Noi abbiamo avuto a Peshawar 141 bambini uccisi, è stato l’11 settembre del Pakistan – spiega – poi ci sono i giornalisti di Charlie uccisi insieme al poliziotto Amhed. Tutto questo colpisce prima di tutto noi».
Per Ahmad è importante aprire anche un dialogo dentro il mondo islamico perché oggi «l’islam moderato non è unito, serve un punto di riferimento in cui dialogare, perché le riforme le possiamo fare solo noi musulmani dentro il mondo islamico. Sto cercando di organizzare una manifestazione a Roma – conclude – ma proprio queste divisioni rendono tutto molto difficile».

Il ruolo dei media e l'opinione pubblica
Per Mohsen Hmidi, sociologo di origine tunisina, da oltre vent’anni in Italia, ad alimentare le divisioni hanno contribuito anche i media che dall’11 settembre in poi hanno spesso generalizzato e parlato di «fondamentalisti, musulmani e immigrati come se fossero sinonimi. Ci sono, invece, tanti distinguo da fare – spiega – Nel caso della comunità tunisina in Italia, per esempio, la religione è molto spesso un modo per tenere viva la tradizione e il legame con il paese d’origine. Per molti dei miei connazionali andare alla preghiera del venerdì vuol dire anche incontrarsi, stare insieme agli altri e mantenere il ricordo del proprio paese. Questo anche perché la nostra è ormai un tipo di immigrazione che tende alla stabilità, dagli anni 90 in poi chi è venuto qui aveva un progetto a lungo termine».
L’invito è dunque ad abbassare i toni dello scontro. «Le persone che hanno compiuto le stragi di Parigi non c’entrano niente con noi – ribadisce con forza – il nostro profeta avrebbe dato una pacca sulle spalle ai vignettisti di Charlie Hebdo, avrebbe risposto con un sorriso, perché il nostro profeta è misericordioso. Invece oggi si tende a fare una guerra contro l’islam che non ha senso contro persone che non c’entrano nulla e non meritano tutto questo».

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Parole chiave: musulmani (23), islam (66), immigrati (78)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)