Impegnati a costruire vere comunità cristiane
La riflessione di fratel Enzo Biemmi su come accompagnare i genitori nel cammino di iniziazione cristiana dei figli. A partire da una chiara consapevolezza da maturare: è un’esperienza di riscoperta del vangelo che la comunità cristiana fa con loro, non per loro.

So che accompagnare i genitori lungo il cammino di iniziazione cristiana (ic) dei figli è sicuramente una fatica, ma conosco anche i frutti che con il tempo e la pazienza essa può portare.
Sono convinto soprattutto di una cosa: ciò che sta avvenendo nella chiesa di Padova, non si tratta della catechesi ai genitori, ma della catechesi con i genitori, di un’esperienza di riscoperta del vangelo che la comunità cristiana fa con loro, non per loro.
Solo questa prospettiva, infatti, permette di capire fino in fondo la posta in gioco di questo grande sforzo. Solo questa prospettiva può far dire, al di là dei risultati e delle fatiche, che ne vale la pena. Se nell’accompagnare i genitori nel cammino dell’ic dei figli fa crescere anche l’intera comunità cristiana, allora ci si stanca, certo, ma si continua perché si sente che siamo noi tutti a diventare più umani.
Nei gruppi di catechesi con i genitori mi pare siano decisivi tre aspetti: la fede che viene trasmessa; le relazioni che vengono stabilite; le comunità cristiane che possono nascere con il contributo, piccolo ma significativo, della vostra esperienza.
Gli incontri con i genitori si presentano come una proposta di fede. Ma il problema è quale fede? Che idea di fede hanno gli accompagnatori e i genitori? Considero che gli incontri con i genitori siano un’occasione per spiazzare sia gli uni che gli altri sull’immaginario e il vissuto di fede. Uno spiazzamento positivo, una vera conversione che aiuta a passare da una fede fondata sul dovere e sull’impegno, sulla stabilità e conformità, a una fede che mette in primo piano non tanto ciò che noi dobbiamo fare per Dio, quanto piuttosto ciò che Dio ha fatto per noi e da cui scaturisce quella gioia descritta molto bene da papa Francesco nei tre documenti: Evangelii Gaudium, Laudato si’ e Amoris Laetitia.
Dire “il vangelo della gioia” per parlare dell’evangelizzazione, esprimere un sussulto di lode a Dio per il dono della casa comune e dire “la letizia dell’amore” per parlare della famiglia vuol dire tracciare i lineamenti di una fede che scaturisce da un evento di grazia che irrompe nell’esistenza senza meriti, che ci raggiunge precedendo ogni nostra prestazione morale e ogni nostro generoso impegno, e per questo ci rende gioiosamente grati.
Questa è proprio “un’altra fede”. È una fede che rima con grazia. Tutto ci è donato. È evidente che una fede così non ci chiede di rottamare nulla di quanto abbiamo avuto nella nostra formazione, né la strutturazione morale che ci è stata data, né la generosità e l’impegno a cui siamo stati allenati. Ma li trasfigura. Non ne fa il punto di partenza, ma l’eco grato di vite segnate dalla gioia evangelica, anche nel buio e nella sofferenza, perché salvate.
Così, la riscoperta di una fede non basata sulla paura (da cui il dovere) né sui meriti (da cui l’impegno) ma sulla riconoscenza, non solo non rende irresponsabili o disimpegnati, ma moltiplica all’infinito la responsabilità e la generosità, perché chi ha sperimentato di essere amato a prescindere è spinto a non sciupare un dono così prezioso ed è in grado di fare della propria vita un dono per gli altri. Con una differenza fondamentale: la misura giusta, quella che viene dal fatto di sapere che tutto viene da lui, anche le nostre forze, ed è lui che ha salvato e continua a salvare il mondo.
La conversione verso questo tipo di fede, che ha il sapore positivo di una sorpresa, avviene non primariamente attraverso i contenuti che si trasmettono, cioè intellettualmente, anche se i contenuti sono importanti, ma nello stile relazionale che si instaura nel gruppo di accompagnamento.
Lo stile relazionale dice in modo forte il Dio che voi annunciate. Si cambia idea di fede cambiando esperienza di chiesa. Perché c’è un linguaggio verbale e uno relazionale. Occorre che i due dicano la stessa cosa. Il gruppo di accompagnamento diventa per tutti un’esperienza di comunità, di chiesa.
Alcuni genitori arrivano dopo anni di allontanamento, dopo esperienze noiose o negative con i preti o con le comunità cristiane o semplicemente perché la vita li ha portati altrove.
Più di uno non è in regola con la chiesa. Altri sono praticanti e vicini alla comunità ecclesiale. Tutti però hanno una rappresentazione di chiesa, un cliché.
Così la comunità ecclesiale è chiamata a essere non primariamente un luogo di affermazioni dottrinali o di orientamenti etici, ma un spazio di narrazioni. La casa nella quale hanno diritto di entrata tutte le storie di vita umane. Perché? “Se il Verbo si è fatto carne”, significa che Dio non ha paura di avere delle storie con gli umani. Anzi, egli ha preso così sul serio le loro piccole storie, che ne ha fatto la sua grande Storia, la storia santa.
Penso che il gruppo dei genitori è chiamato a essere un luogo ospitale di racconti.
Dire ospitalità indica che noi siamo accoglienti, ma anche che ci lasciamo ospitare da loro, stiamo volentieri nelle loro storie di vita. Le persone devono essere accolte come sono e devono trovare un luogo dove poter parlare di sé, dei loro problemi, dei loro desideri, delle loro speranze.
Infine, aver ripensato al modello di iniziazione cristiana, ci invita a essere coscienti che siamo su una via di mezzo che riguarda il passaggio da una fede di tradizione a una fede di convinzione, da una pastorale di conservazione a una di missione.
I soggetti a essere coinvolti sono i destinatari e la comunità ecclesiale. Siamo in una via di mezzo per quello che riguarda entrambe le facce, entrambi i protagonisti.
Per quello che riguarda i destinatari, abbiamo ancora l’onda lunga di domande di sacramenti da parte di persone che lo fanno per tradizione. Per quello che riguarda le nostre parrocchie, ci troviamo di fronte a un impianto pastorale ancora prevalentemente strutturato per conservare e nutrire la fede di persone sociologicamente cristiane: una pastorale di servizi religiosi. In più c’è da aggiungere che negli ultimi decenni questa pastorale, preoccupata di frenare le perdite, ha proceduto per accumulo di iniziative, rischiando il collasso. Siamo proprio in una situazione mista, sia per quello che riguarda le persone che per quanto riguarda le strutture.
Accompagnare la transizione è dunque l’unico atteggiamento responsabile, mentre sarebbe irresponsabile non fare nulla continuando con il “si è sempre fatto così” e lasciando che le cose facciano il loro corso.
Così i gruppi di genitori possono essere l’avvio di buone pratiche in cui sperimentare una chiesa diversa che sperimenta relazioni nuove, che sospende ogni giudizio, che autorizza i racconti, che si riferisce al patrimonio della vita cristiana come patrimonio per una vita buona, che educa alla libertà di scelta senza pretendere risultati, che ascolta la gente fino in fondo, che non è prigioniera di eccessive preoccupazioni morali o dottrinali.
La chiesa continuerà sempre a occuparsi dei bambini ma fermarsi a quelli non è più possibile. Annunciare il vangelo con gli adulti (anzi, riscoprirlo da adulti insieme a loro) è fondamentale. Meglio ancora annunciare e leggere insieme il vangelo della famiglia.
fratel Enzo Biemmi