Padre Lele Ramin, al via l'indagine diocesana per la causa di beatificazione

Si insedia sabato 9 aprile, nella casa padovana dei missionari comboniani e alla presenza del vescovo Claudio Cipolla, il tribunale diocesano che affianca “l’indagine” già avviata a inizio mese nella diocesi di Ji-Paranà, in Brasile, dove padre Ezechiele Ramin è stato ucciso il 24 luglio 1985.

Padre Lele Ramin, al via l'indagine diocesana per la causa di beatificazione

Antonio, uno dei cinque fratelli Ramin, dice che in questi anni la famiglia ha cercato soltanto di coltivare la memoria
Ora tutto ciò quasi non serve più, perché quello che è stato Ezechiele è consegnato a una storia che continua ad affascinare, visto che le richieste di rammentarne figura e sacrificio arrivano dai posti più impensati.

«Ma Lele non è più nostro – taglia corto il familiare – appartiene alla chiesa».
E al suo tempo; che era strano, particolare, probabilmente non ancora del tutto interpretato. Il ricordo è poco nitido e nello stesso tempo dolce.
Fine anni Settanta, Lele che passa per villa Rosengarten a Meida di Fassa, il luogo scelto dall’Azione cattolica diocesana per ospitare i “giovanissimi”, il nuovo fronte di impegno dell’associazione. L’amabilità della memoria è tutta riconducibile a lui, alla sua personalità, al suo essere, severo, deciso, ma pure tenero.
Non rammento se il giovane Ramin capitò da quelle parti come partecipante o animatore; so soltanto che quando mi dissero, qualche anno dopo, che aveva scelto i Comboniani, la missione e i poveri più lontani, non mi stupii: era già detto e scritto.

D’altra parte il clima, anche ecclesiale, di quella stagione era quello. Una ventata di “terzomondismo” (termine equivoco...) che nella chiesa di Padova aveva precedenti importanti, magari sotto il nome di missioni.
Alla domenica tutti a raccogliere stracci e ferrovecchio, chi con Mani tese, altri con l’Operazione Mato Grosso, alcuni con la parrocchia; non importava l’appartenenza, era decisiva la sostanza.
Non era un atteggiamento peregrino o dettato dalle mode: Paolo VI, nel ’67, aveva dedicato ai temi della giustizia sociale e planetaria un’enciclica memorabile, la Populorum progressio; prima c’era stata la Pacem in terris; le legittimazioni teologiche ed ecclesiali c’erano tutte e in molti, allora, cercavano di coniugare la tradizionale attenzione alla chiesa di casa, alla parrocchia, con quella più innovativa verso il mondo.
Ezechiele è stato uno dei più alti interpreti di quel tempo, per un semplice motivo: ha radicalizzato quelle che erano le tensioni e le opzioni di tanti, che non hanno avuto il coraggio (o semplicemente l’opportunità) di fare quello che ha fatto lui.
Per questo, la circostanza che ora, a distanza di decenni dalla sua morte (fu ucciso il 24 luglio 1985 a Cacoal, in Brasile; aveva 32 anni. Il delitto è da attribuirsi alla sua azione in difesa degli indios Suruì e dei lavoratori della terra nello stato di Rondonia) si voglia rileggere la sua vicenda in chiave di “eroicità” di fede – ma forse lui avrebbe preferito semplicemente il riferimento al Signore – assume un significato storicamente particolare: come se si volesse riconsiderare quella stagione, reinterpretare quel vissuto che ha coinvolto tanti (giovani) ecclesialmente impegnati.

Anche per ciò, quello che accade sabato 9 aprile assume un significato particolare.
Nella sede padovana dei padri comboniani, infatti, si insedia il processo rogatoriale per la beatificazione di padre Ramin.
Di che cosa si tratta? Molto semplicemente di un’indagine che “affianca” quella ufficiale che fa capo alla diocesi brasiliana di Ji-Paranà, dove trovò la morte Ezechiele, il cui vescovo attuale tra l’altro è il padovano dom Bruno Pedron.
Si tratta di un atto formale di straordinario interesse, perché al processo rogatoriale padovano spetterà il compito dell’escussione di alcuni testimoni (oltre una trentina).
Il tribunale per la rogatoria in diocesi, al cui insediamento partecipa il vescovo Claudio Cipolla, è composto dal postulatore della causa, padre Arnaldo Baritussio, comboniano, dal giudice delegato, mons. Giuseppe Zanon, dal promotore di giustizia, don Antonio Oriente, dal notaio attuario, avvocato Mariano Paolin, e dal notaio aggiunto e coordinatore, il postulatore diocesano mons. Pietro Brazzale.
«C’è un dato molto rilevante – spiega proprio quest’ultimo – che riguarda questo processo, che viene definito super martyrio, vale a dire che è accertato che Ezechiele Ramin è morto nella difesa della propria fede».
Quanto dureranno i lavori del nuovo soggetto che verrà ufficialmente insediato sabato 9 aprile in diocesi di Padova?
«La richiesta della diocesi brasiliana che ha in carico la causa – spiega mons. Brazzale – è che si faccia presto, concludendo l’ascolto dei testi e la relazione in qualche mese. Non sarà facile, anche perché alcuni dei testimoni sono padri comboniani talora non facilmente raggiungibili. Il lavoro è molto, ma è significativo che la chiesa padovana sia stata coinvolta a pieno titolo in questa causa che riguarda un suo figlio».

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