Non siamo cristiani se non siamo anche ecumenici

di Brunetto Salvarani - La divisione tra chiese è antica come il cristianesimo, come testimoniano anche alcuni passi del Nuovo Testamento. L'opera di mantenere i cristiani uniti è connaturata con la vicenda evangelica e risale a ben prima dei fatti più emblematici della rottura, con la Riforma luterana di cui si ricordano i 500 anni. In realtà oggi non si può essere cristiani senza essere ecumenici: l’ecumenismo è inscritto nel futuro del cristianesimo tutto, e il suo domani può solo essere ecumenico. Purtroppo, però, bisogna ammettere che l’ecumenismo è ancora, in tutte le chiese, un dato minoritario. Tanti dialoghi sono in corso, ma esse ragionano spesso nel senso del monologo, come se ciascuna sia l’unica esistente.

Non siamo cristiani se non siamo anche ecumenici

«Il vero ecumenismo si basa sulla conversione comune a Gesù Cristo come nostro Signore e Redentore. Se ci avviciniamo insieme a Lui, ci avviciniamo anche gli uni agli altri».

Così, il 19 gennaio, si è espresso papa Francesco ricevendo una delegazione della Chiesa luterana di Finlandia. Non va dimenticato che l’opera di unificazione delle chiese è antica, quanto la cristianità; e ben antecedente alle fratture storiche che hanno esemplificato in maniera drammatica il grave peccato della disunione fra cristiani. Già nel Nuovo Testamento, infatti, troviamo inviti a custodire l’unità dello Spirito, come quello che Giovanni attribuisce a Gesù nel discorso d’addio ai discepoli: “Padre santo, custodiscili nel tuo nome… perché siano una cosa sola” (Gv 17,11b). E non è un caso che, subito, l’unità sia inserita fra le notae ecclesiae, i distintivi essenziali della Chiesa: che deve essere una, per il primo credo, e solo se una può essere anche sancta, catholica et apostolica. Tuttavia le varie chiese hanno percorso strade diverse, fino a rendere tali differenze motivi sufficienti a rompere la comunione. Per farsi guerra, e non solo metaforicamente.

«Prendiamo gli avvenimenti come si sono svolti e tentiamo di coglierne la portata storica. Chiediamoci: la chiesa cattolica, com’era all’inizio del XVI secolo? In uno stato pietoso, tanto che si parlava da tempo della necessità di una riforma, che continuava ad arenarsi»: così il gesuita Bernard Sesboüe sosteneva mesi fa in un’intervista, in cui auspicava che l’anniversario della Riforma (1517/2017) favorisse un avanzamento nella riconciliazione tra luterani e cattolici. Il che è avvenuto davvero: con una scelta audace, da parte dei leader luterani come da parte di Francesco, abbiamo visto celebrare insieme a Lund l’inizio di questo anno speciale dedicato a Lutero, che si concluderà il 31 ottobre 2017, e che si è avviato, appunto, il 31 ottobre scorso.

Un viaggio ecclesiale, che la gente deve capire bene: così l’aveva previsto lo stesso Bergoglio, durante il volo. Due sottolineature chiave, per un ennesimo passaggio di questo pontificato per il quale l’aggettivo epocale non è esagerato. Ecclesiale, nel senso che a Lund si sono incontrati i rappresentanti di altrettante chiese (e non di una chiesa e di una comunità ecclesiale, come si esprimeva il Vaticano II nell’Unitatis redintegratio, aprendo la via a decenni di ecumenismo a doppio binario, a privilegiare il rapporto con l’ortodossia); ma anche nel senso che quanto accaduto coinvolge cosa s’intenda per chiesa, se si è trovata la forza per ringraziare Lutero per quanto operò affinché la lettura biblica plasmasse ogni identità ecclesiale; e per i doni spirituali e teologici ricevuti dalla Riforma.

Un evento, poi, che la gente deve capire bene, per evitare fraintendimenti o l’idea di cedimenti al nemico, cogliendo invece nell’abbraccio al vescovo palestinese Younan, presidente della FLM, un momento squisitamente evangelico, dopo cinque secoli di ferite reciproche in cui, hanno sottoscritto, «le differenze teologiche sono state accompagnate da pregiudizi e conflitti e la religione è stata strumentalizzata per fini politici». Ma anche perché le ripetute accelerazioni sul versante intercristiano – penso ad esempio all’abbraccio cubano del febbraio 2016 col patriarca russo, al viaggio con Bartolomeo e Ieronymos a Lesvos ad aprile, o al pellegrinaggio armeno di giugno – si facciano storie vissute a livello di chiese locali, parrocchie e singoli cristiani.

Esperienze che precedono e accompagnano il dialogo teologico, rendendolo meno traumatico e liberandolo da possibili derive ideologiche, freddezza diplomatica e logiche politiciste, in un itinerario ecumenico in cui Francesco sta immettendo un senso di fretta e una svolta umana dai riflessi ecclesiali; fino a coinvolgervi anche le voci della terra e del popolo. La posta in gioco, del resto, non è da poco, ma la possibilità o meno di risultare credibili, da parte dei credenti in Gesù, agli occhi del mondo.

Tutto risolto, dunque? Evidentemente no. Senza una teologia dell’eucaristia e dei ministeri all’altezza della sfida, non si farà molta strada. Resta però il fatto che Francesco sta ridisegnando il paradigma dell’incontro fra le chiese, puntando sui tratti dell’esperienza spirituale, della preghiera, del servizio ai poveri. Del camminare insieme

In realtà oggi non si può essere cristiani senza essere ecumenici: l’ecumenismo è inscritto nel futuro del cristianesimo tutto, e il suo domani può solo essere ecumenico. Purtroppo, però, bisogna ammettere che l’ecumenismo è ancora, in tutte le chiese, un dato minoritario. Tanti dialoghi sono in corso, ma esse ragionano spesso nel senso del monologo, come se ciascuna sia l’unica esistente.

Ora, pertanto, la palla è nel campo di chi è chiamato a tradurre le istanze di apertura nel quotidiano delle nostre comunità: vescovi, parroci, pastori. Sapranno mostrarsi all’altezza di questo progetto, ambizioso ma ineludibile? Ecco la domanda, cruciale, che ci consegna questo anno di Lutero, potenziale fine di ciò che eravamo rassegnati a chiamare l’inverno ecumenico

Brunetto Salvarani
teologo 

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Parole chiave: Brunetto (1), Salvarani (2), ecumenismo (41)