Battesimo del Signore (anno B) *Domenica 11 gennaio 2015

Marco 1, 7-11

In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Albero senza radice?

Non esiste persona sulla faccia della terra che non sia figlio: nessuno si è dato l’esistenza da se stesso. L’ombelico, intagliato al centro della nostra pancia, attesta questo fatto: se esistiamo è perché siamo figli di qualcuno. Umanamente parlando, come figli possiamo essere stati desiderati, amati e seguiti con benevolenza; oppure possiamo aver tristemente fatto esperienza di essere stati trascurati, sminuiti e anche maltrattati. Nella festa del Battesimo del Signore, quel che viene annunciato a e su Gesù è verità che illumina tutti noi: agli occhi di Dio Padre siamo sempre figli amati. Mai dimenticati, mai trascurati, mai disprezzati. Quel che si dice in modo eminente e proprio di Cristo, svela anche il nostro volto: figli del cielo prima che figli di esseri umani. Il sacramento del battesimo annuncia e celebra proprio questo e guarisce la tentazione di pensarsi come alberi senza radici, come figli senza un padre, senza il Padre. La voce dal cielo si rivolge a un «tu»: Dio Padre “dà del tu” a ogni suo figlio, non siamo una massa indistinta. E se l’imperfetto amore umano dei genitori scivola nel fare delle preferenze fra i figli, l’amore divino considera ogni suo figlio come il preferito, il migliore. Stupefacente questo amore per cui ognuno di noi si scopre preferito... senza dover abbassare gli altri, senza «sgomitare» per attirare l’attenzione.

Scendere, salire

Dice il Signore nel libro dell’Esodo 3,8: «Sono sceso per liberarlo [il mio popolo, ndr] dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele…». Gesù è sceso nel grembo della Vergine Maria per mezzo dello Spirito santo e ora sale dalle acque del Giordano – pieno di Spirito santo – per portarci tutti alla terra promessa, alla vita piena e autentica. C’è un «potere dell’Egitto» da vincere: la vita falsa del peccato che ci intacca e attacca da dentro; economie, politiche e culture che ci assalgono dall’esterno, negando la dignità e bellezza dell’essere umano. La parola dell’Esodo trova qui il compimento definitivo: Gesù sale dalle acque, come un tempo il popolo eletto nel suo cammino verso la terra promessa era risalito dalle sponde del mar Rosso e del Giordano. E il cuore era colmo di stupore, tanto da cantare con meraviglia la straordinaria opera di salvezza di Dio: «Voglio cantare al Signore, perché ha mirabilmente trionfato» (Es 15,1). In Gesù c’è più di Mosè: Mosè aveva indicato la strada, Gesù è la strada; Mosè aveva fatto sgozzare agnelli, Gesù è l’unico agnello offerto in sacrificio.

Il bacio

Lo Spirito santo scende su Gesù come una colomba. Una colomba recò a Noè nell’arca il ramoscello d’ulivo, segno di riconciliazione fra Dio e l’umanità, segno dell’armonia ritrovata dopo il disastro del diluvio. Gesù è, quindi, pace piena fra cielo e terra: Dio non è nemico dell’essere umano, non sminuisce la sua libertà, come talvolta pensano i nostri contemporanei. Nel Cantico dei cantici «colomba» è dolce appellativo dell’innamorato all’amata. Sulle rive del Giordano si celebra l’amore: l’amore di Dio Trinità e l’amore che Dio Trinità riversa – senza condizioni – sui suoi figli. «Unica è la mia colomba, il mio tutto, unica per sua madre, la preferita di colei che l’ha generata. La vedono le giovani e la dicono beata. Le regine e le concubine la coprono di lodi» (Cantico dei cantici 6,9; cfr anche 2,14 e 5,2). E così lo Spirito santo che scende su Gesù, Figlio amato, (e in Gesù attraverso l’acqua del battesimo, su tutti noi) è come un bacio d’amore. Dentro il vortice dell’amore del Padre, Figlio e Spirito santo siamo attratti anche noi: la vita, le parole e i gesti del Signore Gesù – “baciato” dall’amore divino – aprono uno squarcio sul mistero della Trinità. L’intera esistenza di Gesù è come una sorta di libro aperto che narra ciò che oltrepassa la nostra piena comprensione: Padre, Figlio e Spirito santo sono un unico Dio-amore, in tre persone distinte. «La trinità economica è la trinità immanente», insegnava il teologo Karl Rahner, esprimendo lo stesso concetto nel linguaggio impegnativo della teologia dogmatica.

Nutrirsi... con l’orecchio

«Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti» (prima lettura). Con il Battesimo del Signore il tempo liturgico del Natale cede il passo al tempo ordinario… e gli eccessi alimentari delle feste dovrebbero lasciare il posto alla sobrietà. Isaia profeta (e qui nella prima lettura anche poeta per il lirismo delle sue espressioni) narra l’invito di Dio a un popolo che viveva esule, tra ristrettezze, mancanza di libertà e di fiducia. L’annuncio del profeta doveva suonare sfacciatamente incongruente rispetto alle dure condizioni di vita di quegli esuli in terra di Babilonia! Non la bocca per il cibo fisico ma l’orecchio capace di ascoltare e accogliere la parola di Dio è al centro della riflessione del profeta. Vero alimento per un’esistenza che non sia pura sopravvivenza, stentato tirare a campare, tirare avanti, è abbassare le difese, trovare l’attenzione e la vigilanza per stare in ascolto di Dio che parla. È una parola che, oggi come allora, porta a vedere più in là di un oggi pesante; spinge a essere protagonisti attivi, senza cedere alla lamentazione e alle recriminazioni. È una parola che mette in evidenza il «bene che c’è tra noi a motivo di Cristo» (Fm 6), senza negare né minimizzare le fatiche. 

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