IV Domenica di Pasqua *11 maggio 2014

Giovanni 10, 1-10

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Le porte

Un piviale rutilante di colori, il passo malfermo che richiede l’aiuto di due cerimonieri: è il 24 dicembre 1999, alla sera, quando Giovanni Paolo II apre la Porta santa del grande Giubileo dell’anno 2000 e si inginocchia sulla soglia, in preghiera, stringendo il pastorale. Quelle immagini riaffiorano alla memoria quando mi imbatto in Gesù che annuncia di essere la porta delle pecore. A sentire di pecore, pascolo, pastore l’immaginazione vola verso prati verdi e scenari bucolici: il contesto del discorso di rivelazione di Gesù è ben altro, però. In Gerusalemme la porta delle pecore (cfr Gv 5,2) è quella che porta direttamente al tempio; «recinto», notano i biblisti, indica il cortile del tempio stesso, dove si radunava il popolo; il pastore spinge fuori le pecore, e il verbo utilizzato è il medesimo del capitolo precedente in cui il cieco risanato viene scacciato via dai capi giudei. Qui allora due mondi si confrontano e scontrano: l’establishment politico-religioso contro Gesù, vera guida, nuovo Mosè, che apre recinti chiusi, spezza monopoli, delegittima pretese di potere.

Riduzionismi

Chi può guidare e nutrire il popolo di Dio? Qual è il vero tempio e qual è la strada per il cuore di Dio? Quali sono le insidie in questo cammino? Oggi come allora c’è bisogno di vigilanza, di una guida che apra le porte e ci aiuti a custodire la libertà, un dono che non è mai ricevuto una volta per tutte. La prima lettura significativamente riporta le parole accorate di Pietro: «Li esortava: Salvatevi da questa generazione perversa!»: salvare la propria libertà, custodire una relazione sincera con Cristo, cercare il suo pascolo e non surrogati. Per l’economia sei un consumatore. Per i partiti sei un voto da acquisire. Per i mezzi di comunicazione sociale sei uno spettatore da fidelizzare. Per l’industria dell’intrattenimento sei uno da svagare e distrarre. Per l’apparato produttivo sei un lavoratore da spremere al meglio. Per il mondo della cultura sei un incolto da indottrinare. Chi, almeno qualche volta, almeno in parte, non si è sentito trattato così? Non sempre le cose mal-funzionano così, ma non sono rari questi riduzionismi che comprimono la vita di persone e popoli dentro percentuali e schemi, punti di vista che non hanno certo a cuore il benessere integrale e pieno della gente. «Il pastore e custode [letteralmente, vescovo] delle nostre anime» è invece Cristo che «ha portato i nostri peccati sul legno» (cfr secondo lettura).

Libertà e vita

Del suo dono straordinario Gesù non fa ricatto, non fa pesare il suo gesto d’amore: sono le pecore che lo seguono perché alla sua voce percepiscono nel profondo un fremito di verità e libertà. L’esperienza vitale di seguire i passi del Signore non mortifica in nessun modo la nostra umanità, tutt’altro. «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». È il tentatore invece che vorrebbe farci credere che il sì della fede amputi spazi di espressione, autonomia e pienezza. «Deve emergere soprattutto quel grande sì che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza; come, pertanto, la fede nel Dio dal volto umano porti la gioia nel mondo. Il cristianesimo è infatti aperto a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà, a ciò che allieta, consola e fortifica la nostra esistenza» (Benedetto XVI, convegno ecclesiale di Verona). Il sì a Gesù Cristo è quindi un sì ad una vita piena. Il sì a Colui che è la Porta porta verso il pieno fiorire della nostra umanità.

Irassema, Aloisio, Vanildo

Irassema, Aloisio, Vanildo, Luciano, Paula, Rosa, Nelson... Stiamo passeggiando per le vie della sua parrocchia con un missionario fidei donum da decenni in Brasile: saluta per nome tutti coloro che incontra. E la parrocchia è ben popolosa. Il sorriso che si dipinge sul volto delle persone attesta quanto sia un bisogno profondo quello di essere riconosciuti come persone, con la nostra bellezza tipica ed unica. E quanto è difficile per i parroci ricordare i nomi delle numerose persone che si incontrano e poter dire qualcosa che non sia generico! Tanto è forte il desiderio di essere valorizzati come persone uniche e non come numeri o percentuali, tanto è potente oggi la spinta che omologa e genera conformismo: comprare e vestire le stesse cose; vedere e seguire gli stessi spettacoli ecc. Non ne soffrono solo gli adolescenti... anche gli adultescenti (= adulti con molti tratti da adolescente). «Gesù le disse: Maria! Ella si voltò e gli disse in ebraico: Rabbunì! – che significa: Maestro!» (Gv 20,16): proprio in dialogo con il Risorto, davanti al suo volto, sentendo il suo nome dalle sue labbra, tu comprendi in modo pieno di non essere uno qualsiasi, uno nella massa, ma autenticamente persona, amato figlio di Dio. 

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