Gli articoli della Difesa di 25 anni fa

“Fughe dall’Est, accoglienza a Ovest: sempre meno frontiere. Tutti in Europa”. Così titolava la prima pagina della Difesa di domenica 12 novembre 1989. Nei numeri successivi, le tappe di una rivoluzione destinata a segnare la storia europea del Novecento.

Gli articoli della Difesa di 25 anni fa

Il “crollo” del muro di Berlino era cominciato qualche giorno prima, giovedì 9 novembre, ma il nostro settimanale va in stampa di giovedì e quindi la redazione non poteva averne già notizia. Ma la situazione internazionale era ormai così compromessa che si poteva intuire almeno per sommi capi dove si stava andando.

«La cortina di ferro – scrive Lorenzo Brunazzo nell’articolo di prima – è diventata un colabrodo. In queste settimane, il fenomeno più vistoso del disgelo gorbacioviano, che si riverbera anche sui paesi del Patto di Varsavia, è l’atteggiamento verso chi vuole emigrare in Occidente. Migliaia di tedeschi orientali (le ultime stime parlano di oltre 50 mila immigrati) si sono aggiunti ai milioni di profughi già insediati nei paesi occidentali».
«Fino a tre anni fa – racconta Andrej Pirlik, moscovita, lettore di russo all’università di Padova, da dieci anni in Italia – espatriare era l’alternativa fortunata rispetto alla galera o al lager. Ora predominano le motivazioni economiche, mentre allora la gente era costretta a emigrare perché non aveva la possibilità di esprimersi, di vivere assieme alle proprie idee».
Da tre anni, per merito della perestroika, Pirlik aveva riannodato i rapporti con la madrepatria collaborando anche a una rivista del “nuovo corso”. Nella lunga intervista testimonia cosa sta cambiando nei paesi orientali, in Russia in primo luogo: «Prima di tutto è cambiato il modo di vedere il mondo, ma questo riguarda solo gli intellettuali russi. Perché nella società russa sono stati aperti tutti i problemi messi nel cassetto, ma non è cambiato nulla. Una rivoluzione dal punto di vista della libertà di parola, della libertà di credere in Dio, di esprimere la propria opinione, ma non nella mentalità della società, nelle persone. Io definisco il cambiamento in questo modo: prima noi intellettuali parlavamo chiusi in cucina, in cinque metri quadri di spazio. Ora questi discorsi di cucina sono arrivati ai giornali e alle riviste. Nient’altro. Non c’è sviluppo di pensiero. Tutto quello di cui parlano oggi i giornali è già stato detto vent’anni fa dagli intellettuali russi come Solgenitsin, Sacharov o altri, più o meno famosi».
«La realtà – spiega ancora – è molto più dura e difficile di quanto si creda in Occidente. L’economia è proprio un disastro e per salvare questa situazione io non vedo oggi una strada. (…) E la situazione si ripete uguale anche nei paesi satellite. Forse per questa mancanza di prospettive chiare di sviluppo molti giovani preferiscono imboccare la strada dell’Occidente, proprio quando sembra che il clima politico si stia rischiarando».
Ma si intravedono possibilità d’uscita?
«Personalmente non vedo possibilità di uscita immediata, Sono passati più di settant’anni dalla rivoluzione, Questi anni hanno portato a un degrado della società, della morale, delle abitudini, del lavoro. È andata perduta la mentalità privata, la voglia di fare, di guadagnare. Distrutto soprattutto il livello artigianale, che secondo me è il più importante in ogni economia. Questo in Russia non esiste più: tutte le tradizioni di famiglia, tutti i legami che sono stati salvati in Occidente qui si sono dissolti. Allora, quale via d’uscita resta? Quella del capitalismo di stato che ha già dimostrato di non funzionare? La creazione di un’economia privata capitalistica? Sarebbero tempi lunghi e in ogni caso lo stadio iniziale di un capitalismo tutto da creare avrebbe tinte “selvagge” che un paese assolutamente disabituato a questa mentalità non può tollerare».
E sul piano politico?
«In Russia non può esistere uno stato pluralista, se con questo termine si intende la presenza di gruppi di persone che hanno una loro politica, che hanno interessi da difendere, che hanno un proprio programma. Oggi c’è un unico piano, quello statale. L’unico “pluralismo” a nascere oggi fortissimo è quello dei nazionalismi».

Il numero successivo della Difesa, che porta la data di domenica 19 novembre 1989, annuncia l’abbattimento del muro di Berlino, commentato dal prete padovano don Fernando Lorenzi, che era da dieci anni in Germania, a Mettmann, in Renania settentrionale, (oggi si è spostata nella vicina Wuppertal) come responsabile della missione cattolica là dislocata.
«Il fenomeno – racconta a don Gino Brunello, all’epoca delegato diocesano per la pastorale delle migrazioni – è stato visto e salutato con gioia fino a qualche giorno fa. Ora però è come una valanga che travolge e fa problema, non solo alla Germania Est, ma anche qui all’Ovest, dove ci si trova impreparati sia per gli alloggi che per l’inserimento».
«Le esortazioni – continua nella pagina interna – sono pressanti da una parte e dall’altra perché rimangano e perché rientrino. La stessa apertura frettolosa del muro penso sia stata motivata dal tentativo di aprire una valvola di sfogo, in modo che vedano, s’incontrino e poi ritornino a casa. Arrivano, s salutano con calore, sono accolti volentieri, ma il problema è il dopo».

Domenica 26 novembre 1989 la Difesa dava notizia dello storico incontro di Gorbaciov con papa Giovanni Paolo II, in Vaticano, il primo giorno di dicembre. Si apre da questo momento un capitolo nuovo della vita religiosa dell’Urss che è sul punto di superare settant’anni di ateismo di stato e di imboccare la strada della libertà religiosa.
«Alla fine – sostiene padre Lorenzo Altissimo, insegnante di lingua e letteratura russa a Padova e attento conoscitore della situazione religiosa sovietica, intervistato da Lorenzo Brunazzo – ha avuto ragione Dostojevskij: i russi possono essere con Dio o contro Dio, ma non senza Dio».
L’incontro del leader sovietico e del papa è il momento culminante di un processo già innescato di radicale cambiamento del regime nei confronti della religione, come si è avvertito in modo tangibile nei riguardi della Chiesa ortodossa l’anno precedente, in occasione del millennio dell’evangelizzazione della Russia: «Chiese riaperte al culto – racconta padre Altissimo – monasteri e seminari restituiti alla loro funzione dopo essere stati trasformati in musei e magazzini, la soppressione della “registrazia”, la registrazione dei credenti, che penalizzava poi in vario modo chi ne era oggetto».
Anche alla base, il risveglio religioso si avverte con prepotenza: «In Russia non è più di moda essere atei, ora è di moda essere credenti e bisogna fare in modo che questo fenomeno non sia effimero e superficiale, deve quindi essere sostenuto da un’opportuna evangelizzazione. (…) La religione è la “sovrastruttura” che ha mantenuto forte la sua presenza sotto le ceneri dell’ateismo di stato ed appare quindi oggi come una risorsa ancora utilizzabile per cambiare strada. L’animo religioso del popolo russo, il suo tendere all’assoluto, come dimostra la sua letteratura, fa parte integrante di una cultura e di una civiltà. Quando giungerà la libertà religiosa si potrà anche vedere quanto questa tradizione e questa cultura ha retto a settant’anni dalla cancellazione».

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