Attento al dialogo, ma senza mai cedere sui principi

Nato a Palermo nel 1941, vedovo e padre di tre figli, Sergio Mattarella la passione per la politica la respira fin da piccolo. Il padre, Bernardo – già militante nel partito popolare di Sturzo e tra i fondatori della Democrazia Cristiana – è parlamentare dal 1946 al 1971, più volte ministro e tra i membri della direzione nazionale del partito.

Attento al dialogo, ma senza mai cedere sui principi

L'ingresso in politica
Il fratello maggiore Piersanti viene invece eletto all’assemblea regionale siciliana nel 1967 per poi guidarla come presidente dal 1978 al 1980, quando viene assassinato dalla mafia. È quell’assassinio che nel 1982 convince Sergio, su invito del nuovo segretario della Dc De Mita, a lasciare la carriera universitaria per impegnarsi in politica. Eletto alla camera dei deputati, lascia un forte segno anche in Sicilia promuovendo – una volta nominato commissario straordinario del partito – l’avvio della cosiddetta “primavera palermitana” con la nascita della giunta guidata da Leoluca Orlando.

Dalla Sicilia al governo
L’ingresso al governo arriva nel 1987 come ministro dei rapporti col parlamento, il primo di una lunga serie di incarichi. Il suo nome rimane legato ad alcuni passaggi cruciali per la vita politica italiana. Il primo arriva nel luglio del 1990, quando insieme agli altri ministri della sinistra Dc rassegna le dimissioni in polemica con la legge Mammì, che nel regolamentare il sistema radiotelevisivo garantiva di fatto la posizione dominante assunta dalle reti di Berlusconi.
Un secondo delicatissimo momento sarebbe giunto nel 2001, quando come ministro della difesa abolì il servizio di leva e soprattutto guidò la partecipazione dell’Italia alla guerra del Kosovo.

La nascita del Mattarellum
In mezzo, l’impegno come relatore della riforma elettorale seguita ai referendum Segni. Il testo – ribattezzato Mattarellum – delineava un sistema maggioritario mitigato dall’attribuzione col proporzionale di un quarto dei seggi, ed è stato in vigore dal 1994 fino al 2001 per essere poi sostituito dal cosiddetto Porcellum recentemente cancellato dalla consulta.

Riservato e cauto, ma certe volte…
Lontano dall’esibizionismo e dalla politica gridata, interprete di una tradizione attenta al dialogo e alle mediazioni, del nuovo presidente della repubblica si conservano però in archivio anche dure prese di posizione. Nel 1995 definì il segretario del partito popolare Buttiglione – convinto dell’opportunità di un’alleanza con Forza Italia – «el general golpista Roquito Butillone».
Di Berlusconi ebbe invece a dire in tempi non sospetti che «non è possibile che chi ha tre reti televisive scenda in politica».
Polemiche di un tempo che fu, per l’uomo che ha fatto del suo discorso di insediamento un vibrante appello all’unità del paese. La prima, indispensabile risorsa per poter sperare di uscire dalla crisi.

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