Unità e speranza

Iniziano sette anni cruciali per l’Italia e in particolare per il suo fragile sistema politico. Il nuovo presidente nel suo discorso di insediamento si è presentato come arbitro, tutore della puntuale applicazione delle regole. Nella speranza che tutti i “giocatori” sappiano fare fino in fondo la loro parte.

Unità e speranza

«Un popolo che vogliamo sempre più libero, sicuro e solidale. Un popolo che si senta davvero comunità e che cammini con nuova speranza verso un futuro di serenità e di pace».
Sono le 10.32 di martedì 3 febbraio quando Sergio Mattarella conclude con il tradizionale «Viva l’Italia, viva la Repubblica» il suo discorso di insediamento: da mezz’ora è ufficialmente il dodicesimo presidente della repubblica in carica e si appresta ad attraversare i prossimi sette anni, centrali per comprendere il futuro e il ruolo internazionale del paese, dal timone di una nave che più che della bonaccia pare aver bisogno di una rotta certa e condivisa.

Il programma di sette anni impegnativi
Nella chiusa del suo discorso, Mattarella traccia il programma del suo settennato, a partire da quel popolo «che si senta davvero comunità» in cui sfociano i numerosissimi riferimenti all’unità nazionale di cui, in apertura, aveva detto di avvertire «la responsabilità». Un’unità che lega «indissolubilmente i nostri territori, dal Nord al Mezzogiorno», ma che «rischia di essere difficile, fragile, lontana», e che proprio per questo necessita di «un’orizzonte di speranza», la seconda parola chiave che emerge a più riprese lungo il discorso, interrotto per 42 volte dagli applausi.
Una speranza che per non rimanere «un’evocazione astratta» ha bisogno però che vengano ricostruiti quei legami che tengono insieme la società, a partire – ed è significativo l’accostamento – dai «connazionali nel mondo», a cui il presidente invia un saluto affettuoso, e dalle numerose comunità straniere presenti in Italia.

Mattarella sa che la costruzione di un futuro passa per l’unità e ha un bisogno disperato di speranza, ma non ignora le piaghe che segnano in profondità la nostra società, ferite che per guarire hanno bisogno dell’intervento di tutti.
È il caso di fenomeni tipicamente “nostrani”, come la mafia, per sconfiggere la quale «occorre una moltitudine di persone oneste, competenti e tenaci», ricorda in un atteso passaggio del discorso il neo presidente, che nel 1980 vide il fratello Piersanti, presidente della regione Sicilia, morirgli tra le braccia dopo un agguato mafioso.
Ma è anche il caso della corruzione, su cui Sergio Mattarella non può non citare i numerosi moniti di papa Francesco, e del terrorismo internazionale, a proposito del quale ha citato il piccolo ebreo Stefano Taché assassinato a Roma nel 1982 a due anni, auspicando una risposta globale.

L'equilibrio dell'arbitro
«Niente anatemi, giudizi sprezzanti, toni moralistici – riflette il quirinalista del Corriere della sera, Marzio Breda, al termine della cerimonia di insediamento – Tutta l’attenzione di Mattarella è stata sull’unire e sul bandire lo spirito divisivo di cui siamo ostaggi da tempo. È stato un discorso improntato al rispetto dei ruoli e all’equilibrio dei poteri com’è nella tradizione dei presidenti della repubblica».
Un equilibrio che il neo presidente ha reso con l’efficace metafora calcistica: «Nel linguaggio corrente si è soliti tradurre il compito del capo dello stato nel ruolo dell’arbitro, del garante della costituzione. È un’immagine efficace. All’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole, l’arbitro deve essere – e sarà – imparziale. I giocatori lo aiutino con la loro correttezza».

Serve una politica "normale"
E in questo passaggio rivolto ai parlamentari si manifesta chiara la consapevolezza di Mattarella dell’importanza di un dibattito politico “normalizzato”, che non tenda a demonizzare l’avversario con il solo consenso come fine immediato ed effimero.
Il nuovo presidente ha ricordato a senatori e deputati, tra cui ha sottolineato la presenza di molte donne e giovani («che portano in queste aule le attese e le speranze dei loro coetanei»), l’idea che in parlamento «non si è espressione di un segmento della società o di interessi particolari, ma si è rappresentanti dell’intero popolo italiano e, tutti insieme, al servizio del paese».

Il ricordo degli italiani sequestrati nel mondo
Unità e speranza, dunque ma anche angoscia, nel discorso del presidente, per quelle famiglie che vedono un futuro incerto per i loro figli, per i parenti e gli amici di padre Paolo Dall’Oglio, Giovanni Lo Porto e Ignazio Scaravilli, rapiti nei teatri di guerra e di cui non si hanno più notizie da mesi, per i famigliari dei fucilieri di marina La Torre e Girone su cui la suprema corte indiana ancora non si è espressa.

La costituzione da vivere giorno per giorno
Un discorso che non ha tralasciato nessuno dei “dossier” sul tappeto di cui Mattarella ha parlato con Napolitano sia il giorno dopo l’elezione sia a insediamento concluso al Quirinale. Ma un discorso per lunghi tratti rivolto più agli italiani che alla politica. La parola più utilizzata è «significa», spia di un tentativo costante di tradurre la costituzione nell’ordinario perché la garanzia più forte per la carta fondamentale sta proprio nel «viverla giorno per giorno».
Un elenco a cui corrisponde quel «volto della repubblica che si presenta nella vita di tutti i giorni» (ospedale, scuola, museo, municipio) nel quale «possano riflettersi con fiducia i volti degli italiani», di bambini, ragazzi, degli «anziani soli e in difficoltà», di chi soffre, dei «giovani che cercano lavoro e di chi il lavoro lo ha perduto», ma anche dei volontari che donano il loro tempo per gli altri e di chi lotta contro le ingiustizie.

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