Trionfo Pd. E i suoi cattolici?

Il sociologo Ulderico Bernardi: «Portano a casa il bottino, poi si vedrà e Renzi dovrà stare attento a come interagire con questa componente interna». Sul versante europeo: «Il mondo cattolico in prospettiva europea aveva a disposizione lo strumento del Ppe, che vede tra l'altro importanti presenze in Austria, Germania e nella stessa Francia, e purtroppo non ha saputo trovare una sua via di unità».

Trionfo Pd. E i suoi cattolici?

Consolidati i risultati delle elezioni europee, ci si chiede cosa sarà dell’Italia di Renzi, uscita a sorpresa quasi tutta “rossa”, con un Pd che ha vinto pressoché dovunque, lasciandosi a diverse lunghezze dietro le spalle il M5S di Grillo e Forza Italia di Berlusconi. Ma che ruolo potrà giocare nel partito la componente cattolica? Non è ottimista Ulderico bernardi, sociologo dei processi culturali,che insegna all’università Ca’ Foscari di Venezia.

Dopo la vittoria alle Europee, i commenti su Renzi si sprecano: viene definito “post-comunista” riformista e moderato, “diga” anti-grillini, antagonista di “sinistra-centro” per Berlusconi. È cattolico quel tanto che basta per avere i voti dei residui “orfani della Dc”. Ma chi è veramente, secondo lei, Matteo Renzi?
«Renzi è soprattutto colui che ha liquidato definitivamente il Pci e le sue polverose radici storiche, compromesse da eventi che conosciamo bene. Credo che ciò sia chiaro a tutti i militanti di quello che fu il partito comunista. Che poi sia portatore di una ideologia, resta tutto da vedere perché non si capisce nel complesso quale sia la sua visione del mondo. Di certo non è più quella del totalitarismo plumbeo dei vari Togliatti, Longo e Berlinguer. Proprio questa vaghezza nella sua visione politica gli ha reso possibile attrarre consensi da ogni parte. Ha avuto voti anche dagli "antichi" e ultimi comunisti del Pd, speranzosi di assurgere in forma stabile al governo. Ma la sua è pur sempre vaghezza e si definirà nel tempo. Trattandosi di un fenomeno repentino, va osservato e valutato nel consolidamento futuro».

In larghi settori del Pd, fino a pochi giorni fa rimanevano grossi dubbi su Renzi, considerato una sorta di “figlio di Berlusconi”, una specie di sottoprodotto del berlusconismo in salsa comunista. Oggi i critici interni tacciono, anche loro travolti dal successo indiscutibile del Pd. Che ne sarà di loro? Si allineeranno al vincitore?
«Proprio coloro che oggi tacciono sono stati e forse rimangono i più decisamente anti-renziani. Adesso hanno una diversa considerazione, perché interessa il risultato del voto, ma non perché condividono lo stile. Rimangono nostalgici di una certa idea del partito con la P maiuscola. Quello che fa malinconia è il silenzio di tanti, soprattutto cattolici, che sono finiti nel Pd e dopo questi dati non hanno aperto bocca. Penso a figure come la Bindi, che con Renzi ha avuto questo rapporto non proprio chiaro. Per ora costoro portano a casa il bottino, poi si vedrà e Renzi dovrà stare attento a come interagire con questa componente interna».

Per il mondo cattolico con queste elezioni è finita l’era della rappresentanza politica fondata sugli insegnamenti della dottrina sociale della chiesa?
«Questa è stata la grande delusione. Il mondo cattolico in prospettiva europea aveva a disposizione lo strumento del Ppe, che vede tra l’altro importanti presenze in Austria, Germania e nella stessa Francia, e purtroppo non ha saputo trovare una sua via di unità. Non si può essere soddisfatti del 4 per cento di Alfano e ci chiediamo quale forma di distorsione abbia avuto il voto cattolico confluito nel Pd di Renzi e in parte residuale andato a Forza Italia. Di fronte a questo sconsolante abbandono del mondo cattolico, bisogna dire che anche la chiesa ha le sue responsabilità. Abbiamo assistito tutti alle forti parole del papa in Terra Santa. Ma sul piano politico interno siamo alla desolazione e questo sconcerta la stessa rete di parroci, che un tempo erano una struttura formidabile di motivazione alla testimonianza dei cattolici sul piano pubblico. Quindi è lecito attendersi parole della chiesa in questa direzione, perché non dobbiamo dimenticare che eravamo una nazione a forte impronta cattolica e quindi anche da parte del magistero dovrebbe esserci una maggiore attenzione».

Come spiega il voto per Renzi anche del profondo Nord?
«Il Nord ha votato in termini utilitaristici. Le partite Iva hanno creduto più a Renzi che agli altri. La produzione sta ripartendo, riprende l’occupazione, il Pil regionale a differenza che altrove è positivo. Renzi non dovrà commettere l’errore di impostare un "neo-centralismo", perché allora perderebbe buona parte del consenso avuto in queste aree. Specie nelle regioni del Nordest c’è grande volontà di ripartire. Il capitalismo popolare è ancora forte come impronta sociale, ma se il suo desiderio di giusta autonomia sarà deluso, allora saranno guai per Renzi».

Che dire infine della “deideologizzazione” di cui Renzi è in parte un esempio?
«Che rappresenta un fenomeno piuttosto universale oltre che un grande punto di domanda. Pensiamo ai risultati della Le Pen in Francia o di Farage in Gran Bretagna: sono una reazione alla astrattezza dell’universalismo globale, che spaventa perché solleva paure ataviche di essere sradicati e negati nella propria tipicità storica. Oggi i popoli desiderano contare di più, avere e mantenere la propria anima. E allora ci si stringe attorno al proprio clan. Deideologizzazione e globalizzazione viaggiano in parallelo e andranno studiate a fondo, perché gli esiti potrebbero essere molto pericolosi».

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Fonte: Sir