Un codice etico contro Mafia capitale e la deriva della cooperazione sociale

Nella “Carta di Assisi” approvata da Federsolidarietà un richiamo in 9 punti basato su solidarietà e legalità. Il presidente Guerini: “La tentazione del fatturato in alcuni casi ha fatto perdere i lumi. Basta con le autoassoluzioni perché lo facciamo a fin di bene”.

Un codice etico contro Mafia capitale e la deriva della cooperazione sociale

In 9 punti un codice etico “anti Mafia capitale”.
Da Assisi, dove si sono riuniti nei giorni scorsi, oltre mille dirigenti della cooperazione sociale hanno condiviso due parole d’ordine: solidarietà e legalità. L’occasione è stata data dal trentennale della prima assemblea delle cooperative sociali aderenti a Confcooperative.
Trent’anni dopo Federsolidarietà è voluta tornare ad Assisi non tanto per festeggiare un compleanno quanto “per rilanciare le sfide per i prossimi anni e rafforzare gli ideali della cooperazione sociale autentica anche attraverso un lavoro congiunto con le istituzioni”.
Un “laboratorio di partecipazione e di rilancio motivazionale - dice il presidente di Federsolidarietà Confcooperative Giuseppe Guerini - dove rafforzare i propri sentimenti di coesione e solidarietà”.
Ecco allora il codice etico, 9 punti imperniati su reale partecipazione dei soci, parità di condizioni contrattuali, trasparenza, dimensione d’impresa, radicamento territoriale, la conoscenza non si inventa, valorizzare le persone, integrazione tra impresa e lavoratore, vigilanza.

Presidente Guerini, perché considerate questi punti un codice etico anti Mafia capitale? Le cose che elencate non sono, da sempre, i principi fondanti la cooperazione sociale?
“Perché siamo convinti che ciò che ha portato a Mafia capitale è una deriva dei comportamenti cooperativi. Quindi, al primo punto parliamo di reale partecipazione dei soci perché pensiamo sia di cruciale importanza far crescere la consapevolezza dei soci, finora trattati meglio di altre aziende sì, ma non coinvolti davvero nelle decisioni. Così si è arrivati a una deriva, all’inquinamento dei comportamenti che intossica il sistema senza che ci siano più anticorpi a contrastarlo. Quei 9 punti sono ottimi anticorpi: se una persona viene infettata, se ci si allontana dalla legalità mentre si è chiamati a svolgere una funzione sociale importante, gli altri se ne accorgono immediatamente”.

Un rischio latente è anche quello di autoassolversi: in fondo si lavora prestando servizio a persone fragili…
“Sì, il rischio di autoassolversi c’è: lavoro per l’inclusione, mi occupo dei malati, dei disabili, quello che faccio è per loro, e se faccio qualche piccola deviazione dalla legalità, ad esempio una turbativa d’asta, in fondo è a fin di bene… La prima volta lo fai “a fin di bene”, la seconda per ottenere fondi alla tua cooperativa e migliorare la tua posizione, la terza per arricchimento personale, e così si è perso il legame con la missione originaria del nostro lavoro”.

La “Carta di Assisi” vuol essere, dunque, un richiamo alla missione e funzione sociale della cooperazione.
“Un richiamo forte ai comportamenti: essere cooperatore sociale significa tornare ad esserlo con lo stile di vita, non solo a livello professionale. Prestiamo servizi e facciamo lavorare persone, sì, e allora siamo cooperativa di lavoro che gestisce servizi, ma non basta: occorre tornare ad avere una visione diversa e globale del mondo e del bene sociale. In questi giorni sto provocando alcune cooperative su questo punto: andiamo a gestire un Cara, per esempio: ma ci chiediamo cosa sono queste strutture di detenzione e campi di concentramento? Occorre tornare a distinguere, a dire no quando è necessario per la funzione sociale che svolgiamo, che è quella – prevista dalla legge e per la quale la legge ci dà agevolazioni – di perseguire il benessere della comunità. Dobbiamo mettere a fuoco continuamente. La tentazione del fatturato, invece, ha fatto perdere i lumi in alcuni casi. Ad esempio, incontro cooperative enormi: la crescita dimensionale è importante, ma deve essere commisurata ai servizi che svolgi”.

Nel vostro codice etico è scritto che “la conoscenza non si inventa”.
“Ho scoperto cooperative fondate da imprenditori pochi mesi prima di andare a gestire l’accoglienza degli immigrati, senza alcuna formazione e consapevolezza, che avevano allestito letti a castello dentro capannoni. Ripeto: un conto è svolgere servizi come ogni cooperativa di lavoro che fa lavorare persone, diverso è chiedersi come fare a sviluppare la comunità sociale rispondendo all’articolo 1 della legge 381 sulla disciplina delle cooperative sociali: le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini”.

L’ultimo punto della “Carta di Assisi” richiama alla vigilanza. Quanto è mancato il controllo in questi anni?
“C’è stata leggerezza soprattutto da parte delle pubblica amministrazione: se affido un appalto devo controllare. A volte, si ragiona così: sono bravi ragazzi, lavorano nel sociale, che bisogno c’è di controllare? Invece è una funzione importantissima andare a verificare che il comportamento sia coerente con il dettato legislativo. Occorre individuare modalità efficaci per farlo”.

Quali, per esempio?
“Per le cooperative sociali è stabilita dalla legge la “mutualità prevalente”. Ad esempio, è importante misurare e controllare la mutualità: come e quanto coinvolgi, quali rappresentanze di cittadini sono dentro alla tua cooperativa”.

Che passi farà Federsolidarietà dopo la “Carta di Assisi”?
“Stileremo una road map per dire come arricchiremo e applicheremo questo elenco di priorità, che trasferiremo poi dentro al nostro meccanismo di controllo e di revisioni, in modo che si valuti la coerenza dell’agire quotidiano con questi punti”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)