Carcere minorile, con il Papa e il rapper Kento, protagonisti i ragazzi detenuti

Il pontefice inizierà dall'istituto minorile di Casal del Marmo il Triduo pasquale. Ci sarà anche Kento, che ai giovani detenuti insegna il rap. L'intervista: “Loro non sono quasi mai dalla parte di coloro che dicono, ma sempre dalla parte di coloro ai quali viene detto”

Carcere minorile, con il Papa e il rapper Kento, protagonisti i ragazzi detenuti

Ci sarà papa Francesco, domani, a inaugurare qui il Triduo pasquale, tra i ragazzi detenuti nell'Istituto minorile di Casal del Marmo. Ci sarà anche Francesco Carlo, in arte Kento, domani a Casal del Marmo: il rapper calabrese da anni porta avanti, proprio negli istituti minorili, laboratori per questi giovani che spesso “non sanno di avere il diritto di essere ascoltati”. E' attraverso il rap, che Kento prova a tirar fuori il mondo che questi ragazzi hanno dentro. E' a lui che Redattore Sociale ha chiesto di raccontare, dal suo punto di vista, le storie e soprattutto i bisogni e le richieste di questi ragazzi.

Un Papa e un rapper che si incontrano in un carcere minorile. Cosa significa e cosa può significare una storia simile?
In effetti, la storia, messa così, è divertente. Ma i protagonisti sono i ragazzi detenuti: sono loro che incontrano il papa, ed è il papa che incontra loro. Io sarò in disparte, questo è il momento dei ragazzi. Trovo molto positiva non solo la visita, ma soprattutto l’attenzione che inevitabilmente questa sta portando e porterà alla condizione delle carceri minorili. Pur essendo un laico, non mi sfugge l’attenzione di Bergoglio alla questione sociale: gli adolescenti rinchiusi in cella ne sono una parte dolorosa e imprescindibile.
Chi sono questi ragazzi?
Per la maggior parte, quelli che ho incontrato vengono da situazioni familiari e sociali molto difficili, in cui spesso è stata la strada a crescerli e a fare la parte che avrebbe dovuto fare la società di noi adulti. Sia chiaro: se sono rinchiusi è perché i reati li hanno fatti, non sono angioletti! Ma in generale è difficile guardare il carcere minorile e non vedere riflesso il classismo della nostra società in generale. Molti hanno difficoltà ad esprimersi, molti non sanno di avere il diritto di essere ascoltati

C'è qualcosa che accomuna le storie di questi ragazzi e di queste ragazze?
Come ti dicevo prima, sicuramente non troverai molti ragazzi che abbiano una famiglia sana e funzionale alle spalle. Ciò non significa che siano tutti figli di criminali, beninteso! Ci sono anche i figli di bravissime persone che, magari, lavorano 16 ore al giorno. E quindi, appunto, è la strada che li cresce, e non la famiglia.
Il rap ha la capacità di tirar fuori ciò che i ragazzi hanno dentro?
Oggi il rap è il genere più facile e accessibile. Da un lato lo conoscono già, ne sono “nativi”, quindi non devo spiegare nulla. E poi non serve saper suonare uno strumento, o cantare, o leggere la musica. Addirittura, a volte mi trovo a lavorare con dei ragazzi analfabeti, che fanno rap alla grande: l’unica cosa che ti serve è avere un cervello e una bocca che funzionano. Ormai sono tanti anni che frequento le carceri, conosco i codici e le chiavi espressive per far aprire i ragazzi. La difficoltà principale è di ordine concettuale: è difficile farli passare dalla parte della capsula del microfono, perché loro non sono quasi mai dalla parte di coloro che “dicono” ma sempre dalla parte di coloro ai quali “viene detto”. Per tutto il giorno ricevono ordini, consigli, indicazioni. Essere loro i mittenti della comunicazione, capire che le loro parole e i loro pensieri sono importanti: è questo il passaggio chiave di tutto il mio lavoro.

Negli ultimi mesi, nelle carceri minorili ci sono stati disordini e rivolte. Secondo te, e dalle storie che raccogli, cos'è che non va in questi posti? E cosa invece ti pare che funzioni?
Non mi permetto di generalizzare né di parlare di situazioni che non conosco. Sicuramente mi pare che funzionino le misure alternative alla detenzione, alle quali peraltro il nostro ordinamento riconosce una nettissima prevalenza rispetto alla reclusione in carcere. Dall’altro lato, mi ha impressionato – lavorando in tante carceri – vedere la differenza di atteggiamento, di procedure, e quindi di risultati con i ragazzi. E la differenza, ovviamente, non la fanno i giovani detenuti né la struttura architettonica del carcere: la fanno i professionisti, che possono scegliere di fare semplicemente il proprio lavoro, oppure di fare qualcosa in più, di buttare il cuore oltre l’ostacolo, anche magari beccandosi delle ramanzine da parte dei superiori o un 'ma chi te lo fa fare' dai colleghi. Sono queste le persone che riescono ad avere un impatto forte, positivo e duraturo con i nostri “ragazzacci”.
Cosa succede, durante i tuoi laboratori? Quand'è che i ragazzi ti danno fiducia?
La cosa che succede sempre, ad ogni mio laboratorio, è che c’è uno dei ragazzi che rimane in disparte e mi guarda male, con l’aria del grande criminale, come a dirmi “non me ne frega niente di te”. E già questa cosa fa ridere, perché la partecipazione ai miei laboratori è volontaria, quindi se non te ne fregava niente potevi restartene in cella! Comunque… io continuo a lavorare con gli altri, lui continua a guardarmi male. Poi arriva il momento della pausa sigaretta (perché in carcere fumano quasi tutti…) e, quando il gruppo si allontana, il solitario si avvicina con l’aria circospetta di chi mi deve dare una coltellata. A quel punto abbassa la voce e mi sussurra: “Mi aiuti a scrivere una canzone per la mia fidanzata che mi aspetta fuori?” E poi aggiunge: “Però non lo deve sapere nessuno!” A quel punto io sorrido, assicuro la mia discrezione, e chiedo a mia volta: “Io ti aiuto se tu mi aiuti… dimmi qualcosa di questa ragazza! Dove vi siete conosciuti, quando vi siete dati il primo bacio, che tempo faceva quel giorno…” E, se sono stato abbastanza bravo a stimolare il giovane innamorato, vengono fuori cose bellissime.
Qualcuno dice che il carcere dovrebbe essere abilito, tanto più quello minorile. Che ne pensi?
Penso che il carcere minorile sia un’istituzione anacronistica e che i ragazzi che hanno sbagliato non vadano comunque rinchiusi dietro le sbarre. Quindi sì, andrebbe abolito. Ma sarebbe stupido e poco realistico chiedere di aprire i cancelli e buttarli tutti fuori adesso, anche perché non è detto che fuori ci siano tali e tante strutture che facciano al loro caso e siano pronte ad accoglierli. Ci vuole una convergenza della politica e della società civile, convergenza che purtroppo oggi vedo ancora lontana. Nel mio piccolo, darò sempre il mio contributo alla costruzione di un percorso abolizionista concreto, realistico e duraturo.
Cosa servirebbe, secondo te, perché nessun ragazzo debba più entrare in carcere?
La risposta non è semplice. Di sicuro ti posso dire che un ragazzo che ha una famiglia funzionale, il cibo sulla tavola, va a scuola e ha una buona socialità è molto ma molto improbabile che finisca dietro le sbarre. Quindi serve una maggior cura da parte della nostra società nel prevenire la marginalità e la vergognosa ingiustizia sociale di cui ancora troppo spesso si macchia. Quindi direi che questo serve: una società che sia capace di cura. Così il carcere minorile potrà serenamente scomparire.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)