Chiara d’Assisi. Pianticella di Francesco o femminista ante litteram?
Ad una lettura moderna Chiara si rivela profondamente donna con l’orgoglio di amare l’autentico femminile e con il coraggio di affermarlo nel solco di una tradizione saldamente maschile. Una rivoluzione dirompente la sua, portata avanti con strenua tenacia e limpido equilibrio
Una figura rivoluzionaria quella di Chiara Assisi, di cui oggi si celebra la memoria liturgica, nell’apparente contraddizione tra l’immagine consueta di anima contemplativa, vissuta nell’ombra e nel ricordo di Francesco, e l’anticonformismo e il coraggio volitivo di scelte impensabili in quel tempo. Nata alla fine del XII secolo in una nobile famiglia della cittadina umbra, Chiara ha solo 12 anni quando, nell’inverno del 1206, Francesco compie di fronte al vescovo di Assisi l’atto formale di rinuncia ad ogni bene, ed è presumibile che questo avvenimento, ricco di significato per il profondo capovolgimento di valori che intendeva rappresentare, abbia destato nel suo animo suggestioni forse allora inconsapevoli ma che costituiscono la premessa del fascino e dell’intensa attrazione che di lì a poco inizia a provare per Francesco e che la spingono, dopo alcuni anni, al desiderio di conoscerlo. Numerosi gli incontri, avvenuti nella massima riservatezza e attraverso i quali la giovane matura il fermo proposito di operare una scelta di vita del tutto simile a quella di chi ha eletto a proprio modello. E da questo momento, di fronte a tutte le difficoltà che dovrà incontrare e superare, a partire dalla strenua opposizione del padre Favarone, la sua tempra incrollabile inizia ad esprimersi in ogni sua azione, pur accompagnandosi a doti di straordinaria sensibilità e gentilezza.
Dirompente la sua scelta di vita religiosa: Chiara non fa ingresso in una congregazione monastica femminile consolidata, possibilmente ricca, che le avrebbe garantito prestigio e sicurezza, ma
decide di vivere una condizione di disagio e assoluta precarietà
rinunciando, fanciulla di nobile casato, alla dote che ha l’audacia – affronto gravissimo verso la propria famiglia d’origine – di vendere per destinarne il ricavato ai poveri.
Di qui il proposito di dare vita ad una comunità di donne povere sfidando l’opinione pubblica: mai si era vista una scelta del genere. Lo stesso Francesco, pur avendo voluto per sé ed i suoi frati un tenore di vita all’insegna della precarietà e di ogni privazione, è preoccupato per Chiara e per le pauperes dominae, comunità che inizia ben presto ad aumentare e alla quale si aggiungono in tempi brevi le due sorelle di Chiara, Caterina e Beatrice, e la madre Ortolana, mentre la santa dovrà lottare tutta la vita per difendere il suo ideale pauperistico.
Solo per obbedire a Francesco, Chiara accetta la regola approntata dal santo per le “sorelle povere”, ma nel 1216 chiede a Papa Innocenzo III di concederle il Privilegium paupertatis e la garanzia di poterlo mettere in pratica.
Privilegium rimesso in discussione dal card. Ugolino, futuro Papa Gregorio IX, di fronte al quale Chiara non si arrende e ne ottiene nel 1228 la conferma. Ulteriore peculiarità innovativa delle pauperes dominae rispetto ad altri ordini femminili contemporanei, il lavoro manuale non inteso come fonte di sostentamento, in quanto i manufatti prodotti vengono sempre offerti in dono, ma come valore educativo e sociale. Chiara e le sorelle, fedeli alla propria coraggiosa vocazione, vogliono vivere esclusivamente di elemosina. Ma i papi non approvano questa scelta; così, dopo ulteriori interventi pontifici per ammorbidirne il rigore pauperistico,
Chiara decide di stilare personalmente la regola per il proprio ordine.
Un’altra novità assoluta per una donna del XIII secolo.
Tuttavia dovrà soffrire ancora a lungo perché, nonostante le sue tenaci insistenze, solo due giorni prima della sua morte, il 9 agosto 1253, Innocenzo IV recatosi a visitarla sancirà il riconoscimento ufficiale e definitivo della sua regola.
E’ dunque il privilegio di uno stile di vita senza privilegi, difeso strenuamente per più di quarant’anni, la scelta di totale rottura di Chiara rispetto agli schemi culturali dell’epoca, culminante nell’apparente incongruenza dell’obbligo al lavoro manuale eseguito senza fine di lucro, affidando il proprio sostentamento alla mendicità. La sottomissione a Francesco, la costante autodefinizione di “pianticella del beatissimo padre” e la conseguente, paziente e umile obbedienza a regole imposte dalle istituzioni ecclesiastiche, ancorché diverse da quanto avrebbe desiderato, non spengono in Chiara la tensione vissuta in un drammatico conflitto interiore verso un ideale fortemente innovativo, perseguito con determinata ostinazione e con l’eroica pazienza di chi sa aspettare.
Ad una lettura moderna, Chiara si rivela profondamente donna, con l’orgoglio di amare l’autentico femminile nelle peculiarità specifiche che lo caratterizzano, ed il coraggio di affermarlo e di promuoverlo nel solco di una tradizione saldamente maschile come quella della Chiesa della società del tempo. In questo solco traccia orme profonde facendosi portavoce di una rivoluzione radicale, vissuta tuttavia nel rispetto delle istituzioni.
Un’attualità, la sua, costituita dalla forza trascinante ed eroica di chi, pur non perdendo nulla della sua energia dirompente, si esprime con limpido equilibrio, misura, e totale assenza di antagonismi e spunti polemici.