Con la gioia nel cuore. Lasciamoci “scardinare dentro dal paradosso delle beatitudini”

Le beatitudini, infatti, “definiscono l’identità del discepolo” e “possono suonare strane, quasi incomprensibili” a chi non lo è.

Con la gioia nel cuore. Lasciamoci “scardinare dentro dal paradosso delle beatitudini”

Somiglianze e differenze tra due evangelisti. Luca, nella pagina del Vangelo di domenica, ci fa riflettere sul discorso che Gesù propone ai suoi discepoli, più che alla folla, giunta da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Siro e di Sidone: è il discorso della pianura, discorso di benedizioni e minacce. Discorso parallelo a quello della montagna, o discorso sul monte, che troviamo in Matteo, il primo dei cinque grandi discorsi sul Regno: le nove beatitudini. In Matteo Gesù si rivolge ai presenti dall’alto di un monte. Anzi “del monte”: non luogo generico, dunque, ma una altura che evoca il Sinai. Nella Bibbia sono molte le ‘vette di Dio’, non solo il Sinai, ma anche il Nebo, dove Mosè vede la terra promessa, senza però raggiungerla. E poi l’Ararat, dove si sarebbe fermata l’arca di Noe; il Moira, il monte della prova di Abramo; il Tabor, l’altura della trasfigurazione, e gli Ulivi.

Luca, invece, fa parlare Gesù “in un luogo pianeggiante”, dopo essere salito sul monte e aver pregato in solitudine tutta la notte; è sul monte che chiama i discepoli e ne sceglie dodici “ai quali diede anche il nome di apostoli”. Dodici come le tribù di Israele. Li sceglie, dunque, e con essi scende per fermarsi “in un luogo pianeggiante”. Papa Francesco, all’Angelus, fa notare che Gesù, pur essendo attorniato da una grande folla, parla rivolgendosi ai suoi discepoli. Le beatitudini, infatti, “definiscono l’identità del discepolo” e “possono suonare strane, quasi incomprensibili” a chi non lo è. Fermandosi a riflettere sulla prima – “beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio” – il vescovo di Roma afferma che “sono beati perché poveri”, nel senso che “il discepolo di Gesù non trova la sua gioia nel denaro, nel potere o in altri beni materiali, ma nei doni che riceve ogni giorno da Dio: la vita, il creato, i fratelli e le sorelle”. Anche i beni che possiede “è contento di condividerli, perché vive nella logica di Dio”.

Luca sembra dirci che Gesù scendendo nella pianura in realtà scende, anzi raggiunge ogni uomo; è a lui vicino per consolarlo nei molti luoghi delle nostre povertà, mancanze, afflizioni. In Luca, le beatitudini privilegiano l’interesse per i poveri e gli afflitti. E quello scendere in un luogo pianeggiante è un andare verso l’uomo che, affermava Benedetto XVI, “non ha soltanto bisogno di essere nutrito materialmente o aiutato a superare i momenti di difficoltà, ma ha anche la necessità di sapere chi egli sia e di conoscere la verità su sé stesso, sulla sua dignità”.

I Vangeli ci ricordano che la logica del Signore non è quella dell’uomo, e Luca, afferma il Papa, ci dice che la logica di Dio è la gratuità: “il discepolo ha imparato a vivere nella gratuità. Questa povertà è anche un atteggiamento verso il senso della vita, perché il discepolo di Gesù non pensa di possederlo, di sapere già tutto, ma sa di dover imparare ogni giorno”; di più “è una persona umile, aperta, aliena dai pregiudizi e dalle rigidità”.

Pietro, è il Vangelo di domenica scorsa, “lascia la barca e tutti i suoi beni per seguire il Signore”, si dimostra docile, “e così diventa discepolo. Invece, chi è troppo attaccato alle proprie idee, alle proprie sicurezze, difficilmente segue davvero Gesù”. Lo segue solo “nelle cose in cui è d’accordo con lui e lui è d’accordo con me”. Ma non è un discepolo, è una persona “triste perché i conti non gli tornano, perché la realtà sfugge ai suoi schemi mentali e si trova insoddisfatto. Il discepolo, invece, sa mettersi in discussione, sa cercare Dio umilmente ogni giorno”. Il discepolo “accetta il paradosso delle Beatitudini”.

La logica umana porta a pensare in un altro modo: “è felice chi è ricco, chi è sazio di beni, chi riceve applausi ed è invidiato da molti, chi ha tutte le sicurezze”. È un “pensiero mondano”, dice Francesco: “non è Dio a dover entrare nelle nostre logiche, ma noi nelle sue”. Il discepolo di Gesù “è gioioso” perché “il Signore, liberandoci dalla schiavitù dell’egocentrismo, scardina le nostre chiusure, scioglie la nostra durezza, e ci dischiude la felicità vera, che spesso si trova dove noi non pensiamo”. Lasciamoci “scardinare dentro dal paradosso delle beatitudini” per “uscire dal perimetro delle nostre idee”, ci chiede il Papa, che aggiunge: “il tratto saliente del discepolo è la gioia del cuore”.

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Fonte: Sir