Dio, il giornalista scettico, il popolo, il web. Il senso ultimo delle cose in Scalfari, nel rapporto tra Francesco e gli ultimi

I tre suggerimenti di lettura del mese.

Dio, il giornalista scettico, il popolo, il web. Il senso ultimo delle cose in Scalfari, nel rapporto tra Francesco e gli ultimi

Un libro che ci invita a guardare il mondo con occhi diversi da quelli eurocentrici (e iper-razionali) questo di Dante Monda, Papa Francesco e il “popolo”. Una sfida per la Chiesa e la democrazia. In realtà una sfida alla prospettiva di chi dal di fuori guarda un mondo come quello del sud del continente americano, soprattutto l’Argentina, giudicando secondo schemi che non funzionano in quel contesto. Il fatto è che, e questo libro lo sottolinea con forza, il nostro punto di vista è stato orientato nella visuale binaria Liberalismo protestante-comunismo prima sovietico e poi cinese. Ignorando praticamente quelle dinamiche storico-politiche in cui le teorie più o meno dialettiche sono state eclissate dall’azione, come nel caso del peronismo, a favore del popolo pur all’interno di tradizioni radicate in quel popolo. Il pragmatismo teologico di Bergoglio, che era stato ordinato sacerdote nel 1969, in pieno fermento millenaristico che vide anche il formarsi della teologia della liberazione, più vicina però ad un neo-marxismo letto in chiave evangelica, andava e va oltre, scrive Monda, gli ismi più o meno dottrinari. Il suo non-intellettualismo non gli impediva allora come oggi di guardare con spirito costruttivo e pratico al magistero di Romano Guardini e alla sua distinzione tra popolo e massa, con l’impegno a farsi popolo e ad entrare nel popolo e alla sua cultura dello stare e dell’essere. Questo popolo non è una astrazione ideologica e neo-romantica, ma è una realtà collettiva fatta empiricamente di esistenze, distante dalla visione intellettual-borghese di massa indifferenziata da guidare dall’alto. Un libro, questo di Monda, che coglie una delle contraddizioni dello sguardo d’occidente, la logica a tutti i costi, la dialettica iper-razionalistica che conducono ad una sterile fedeltà a schemi superati, a destra come a sinistra. Un popolo che in questo sguardo ormai sclerotizzato era divenuto sì mito, ma un mito fuori dal pulsare della vita. Quello di Bergoglio non è un identitarismo compulsivo e nazionalistico, la cui mescolanza forma l’attuale populismo (che viene da alcuni attribuito -a torto- al pontefice). Un impegno, quello dell’arcivescovo di Buenos Aires poi papa Francesco, etico e pratico, non aristocraticamente fuori, ma dentro la comunità, il che non vuol dire perdita di identità, ma arricchimento e senso dell’esistenza.

Dante Monda, Papa Francesco e il “popolo”. Una sfida per la Chiesa e la democrazia, prefazione di Antonio Spadaro, postfazione di Andrea Riccardi, Morcelliana, 121 pagine, 13 euro.

La ragione che diviene unico punto di riferimento. Eppure la lotta per l’egemonia -e per la sopravvivenza- dei grandi trust editoriali che fagocitano i piccoli richiama l’altra parte della modernità, le sue implicazioni darwiniane e nietzschiane. In poche parole il percorso di Eugenio Scalfari, scomparso recentemente, che con Repubblica -dopo L’Espresso- ha riformato la stampa italiana, guidando una larga parte di lettori verso una modernità né marxiana né irrazionalista, accompagnando la persistenza di una classe egemone editoriale evolutasi e attrezzata per le nuove sfide. L’Altro sembrerebbe escluso da questo percorso, e a livello programmatico -e ideologico- lo sarebbe, se non che i suoi incontri con il papa, talvolta riportati disinvoltamente e questo antico -correva il 2008- L’uomo che non credeva in Dio ci portano nella terra di nessuno delle certezze atee che non riescono a far fuori le curiosità metafisiche. Orgoglioso del proprio non credere, il capitano di lungo corso si interroga su ciò che ha posto inquiete domande a scienziati, filosofi, storici, artisti, scrittori e uomini comuni: che cosa è la vita? Un comporsi e scomporsi di aggregati cellulari? O c’è dietro qualcosa di meno meccanico e determinato? Quando Scalfari allude degli “universi di cellule, di flussi sanguigni, di inconsce pulsioni” sembra allineato con l’intellettualità manistream, la laicità fatta di scienza, di freudismo, di un certo narcisismo che sa di Nietzsche e di letture mitografiche. E infatti nel filosofo tedesco il padre di Repubblica legge l’esaltazione di Dioniso, il rifiuto del cristianesimo, il disprezzo della democrazia. Con la glossa che l’uomo è l’unica tra le specie viventi a porsi il problema del senso. Che ovviamente Scalfari, figlio della modernità radicale, legge freudianamente come “transfert”. Per cui la morte di Dio prefigurata dal cantore di Zarathustra non è altro che “il presentimento di un mondo che ha in sé il suo unico fondamento”. E però il Novecento significa anche Heisenberg e principio di indeterminazione, e l’interpretazione scalfariana del super (o meglio ancora oltre) uomo ne tiene conto, perché mette in rilievo la non esistenza di un fuori senza lo sguardo che lo “accende”. Anche se in agguato rimane l’auto-assertività di un pensiero che si pone come giudizio inappellabile sul mondo, e che dice che Nietzsche ha ragione, perché Dio è inventato solo “per sfuggire la paura”. Che riprende il discorso di un riduttivismo ad uso e consumo di una classe intellettuale divenuta autoreferenziale.

Eugenio Scalfari, L’uomo che non credeva in Dio, (prima ed. 2008) Einaudi, 150 pagine, 16,50 euro.

Fa molto bene il salesiano Giuseppe Morante, autore di questo La dignità umana ai tempi del web, a citare Jean Baudrillard che in tempi insospettabili, eravamo nei Sessanta del secolo breve, in Il delitto perfetto in cui, precorrendo anche l’ormai classico Matrix, il filosofo e sociologo francese narra dell’uccisione della realtà da parte della tecnica, soprattutto “grazie” alla soppressione di moralità e responsabilità. Tutto il volume del fondatore del Centro Pedagogico Salesiano Meridionale di Bari è un chiaro, documentato, avvertimento a non fare della fluidità e velocità del metaverso (un mondo divenuto praticamente virtuale) i padroni della propria vita, se di vita di può parlare in questo caso. Padroneggiare i meccanismi del sistema digitale non vuol dire però o demonizzarlo in toto o arrendersi ad esso, anzi, significa vaccinarsi e trovare gli antidoti pur tenendo conto dei lati positivi di questo vero e proprio nuovo universo. Ed è per questo che la Chiesa ha accettato la sfida dell’era web indirizzando la navigazione, scrive Morante, verso tematiche attuali “quali l’economia globale a danno dei popoli poveri, lo sviluppo sociale equo e solidale, le tecnologie che dovrebbero essere orientate a liberare l’uomo dalle oppressioni morali e materiali”. Una vera e propria guida, scritta da una persona competente che insegna come viaggiare attraverso la rete in modo equilibrato e creativo. E un ottimo avviso ai naviganti, è il caso di dirlo, è quello di sapersi staccare dalla pletora di informazioni, inviti, avvisi, pubblicità che sembrano talvolta dirette solo a noi e per noi, e che invece sono strumenti ansiogeni quando, purtroppo la cronaca ce ne parlato, portatori di malessere, paura e autolesionismo. Avvertimenti semplici e proprio per questo adattissimi non solo per i giovani: “ogni volta che pensi di essere tagliente o furbo per un post, qualcuno prova vergogna per la tua solitudine”. Evitare pettegolezzi,  non fissare lo schermo quando si sta parlando con altre persone, ammirare in alternativa i paesaggi reali che si aprono alla nostra vista nei nostri stessi luoghi e che noi abbiamo ignorato per abitudine e indolenza, leggere libri cartacei e poi sì, va bene, raccontarli via net ad amici e conoscenti, evitare di postare foto di persone conosciute o meno, sono tra i consigli diretti a tutte le età del web, in grado non di demonizzare, ma di piegare il nuovo messaggero alla ragione, e al sentimento, umani.

Giuseppe Morante, La dignità umana ai tempi del web, Edizioni Sanpino, 166 pagine, 16 euro.

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Fonte: Sir