Epifania. È come se arrivando a Betlemme rinunciassimo a chiedere a Google chi sia quel bambino e chi siamo e dove dobbiamo andare

Con l’Epifania, il Figlio dell’Uomo cambia i piani di chi pensa che tutto sia calcolabile e fa inginocchiare davanti a sé anche quelli che avrebbero sempre una risposta per tutto

Epifania. È come se arrivando a Betlemme rinunciassimo a chiedere a Google chi sia quel bambino e chi siamo e dove dobbiamo andare

Anche in città come Roma, dove la Befana è la protagonista di un festeggiamento a volte anche più dovizioso di quello del Natale stesso, la festa dell’Epifania, che abbiamo appena celebrato è da sempre vissuta dalle famiglie, soprattutto quelle con figli in età scolare, come il giorno che chiude il lieto periodo delle vacanze. Se, però, cerchiamo di andare al significato profondo che ogni anno possiamo cogliere contemplando la visita dei Magi a Gesù bambino, ci accorgiamo che si tratta di un evento che, anziché chiudere, apre, anzi spalanca il mistero del Natale a tutto il mondo. Il primo atteggiamento, dunque che ci viene richiesto è quello di non considerare l’incarnazione di Dio un evento che possiamo tenere solo per noi, un privilegio che abbiamo in qualche modo meritato in virtù della nostra appartenenza cristiana. Del resto, il primo annuncio alla categoria spregevole dei pastori già ci ha messo in guardia rispetto alla presunzione di essere i primi destinatari della venuta di Gesù fra noi. Il Figlio dell’Uomo viene per la salvezza di tutti, prima che per un giudizio e ciò è bene che spiazzi la nostra supponenza di essere dalla parte dei giusti. Anche l’Epifania ci invita a spostare i riflettori su una categoria di persone che oggi non considereremmo assolutamente adatte a comprendere che quel neonato sia Dio. Sono gli uomini di scienza, ma, forzando un po’ i termini, potremmo pensare anche a tutti i potenti del mondo, i grandi magnati delle tecnologie, i detentori della comunicazione globale. Siamo tentati di ritenere che a queste categorie di persone sia preclusa la capacità di riconoscere in quel bambino nella mangiatoia un re più potente di loro e portiamo a riprova di ciò tutti i mali del mondo, dalle guerre, agli scompensi ambientali, causati dalla fame di possesso e di potere in cui gareggiano i grandi della terra. La “manifestazione” di Cristo anche di fronte ai rappresentanti di coloro che apparentemente sembrano quelli più lontani e disinteressati è, dunque, un motivo di grande consolazione, anzi di gioia e non può che spingere anche il nostro sguardo verso il cielo per riconoscere la luce della stella che ha guidato i Magi. Quando ci diciamo che non è in nostro potere di fare alcunché di fronte ai grandi mali di cui l’umanità è vittima, possiamo vivere come sprone contro il disfattismo il lungo cammino che hanno fatto questi saggi provenienti dalle più disparate parti del mondo allora conosciuto. Possiamo constatare che essi sono stati capaci di fare spazio nell’intelligenza e nel cuore ad una verità non prevedibile con i loro sofisticati strumenti o comprensibile sulla base di qualche teoria… Hanno fatto spazio all’amore in quanto tale ed è così che lo hanno trovato e hanno potuto anche sfuggire alle lusinghe di chi, come Erode, aveva solo paura di perdere potere. Se nella notte di Natale Gesù si rivela agli ultimi, ai diseredati, a quelli che non sperano più; con l’Epifania, il Figlio dell’Uomo cambia i piani di chi pensa che tutto sia calcolabile e fa inginocchiare davanti a sé anche quelli che avrebbero sempre una risposta per tutto. E noi? Con realismo e umiltà, nelle nostre case, fra mille comodità e distrazioni, possiamo immedesimarci anche in questi ultimi personaggi che completano la rappresentazione del presepe ideale e deporre idealmente nella mangiatoia tutte quelle ricchezze che da sole non portano pace, tutti quegli apparati tecnologici che, con paradosso sottile, accorciano le distanze della comunicazione, ma rendono meno umani i nostri dialoghi. È come se arrivando a Betlemme rinunciassimo a chiedere a Google chi sia quel bambino e chi siamo e dove dobbiamo andare, ma ascoltassimo una verità che non ci siamo costruiti noi a tavolino perché è una persona, da incontrare e che non si finisce mai di conoscere. Infine, ai piedi della mangiatoia viene deposta anche la mirra, unguento per la cura dei defunti e a noi serve per credere che la salvezza non è una magia che annulla il dolore, ma passa attraverso la morte. Se Gesù non ha fatto finta di essere uomo, ma ci ha amato fino a condividere il nostro stesso morire, quale paura non potremo vincere?

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Fonte: Sir