Il cristianesimo è al capolinea? Le questioni rilevanti su cui si gioca il futuro della Chiesa

Calano i fedeli, così come i presbiteri... che avanzano pure con l’età. La Chiesa è percepita come “obsoleta” e la fede non c’entra più con l’appartenenza. A partire da “cos’è” il cristianesimo oggi, il teologo Giuliano Zanchi individua otto questioni rilevanti... da cui la Chiesa non può più prescindere

Il cristianesimo è al capolinea? Le questioni rilevanti su cui si gioca il futuro della Chiesa

Gli addetti ai lavori (teologi, storici, sociologi) lo sanno bene. Il cristianesimo che abbiamo conosciuto finora è arrivato al capolinea. I segni sono evidenti: diminuzione dei praticanti, calo numerico e invecchiamento del clero. La Chiesa è sentita dai più come “obsoleta”, apparendo come un’organizzazione più o meno attraente. La fede personale non si identifica più con l’appartenenza alla Chiesa. Anzi, si crede senza appartenere a nessuna Chiesa. Cinque lustri fa il teologo Jean-Marie Tillard sceglieva questo titolo per un suo libro: Siamo gli ultimi cristiani? Ancora prima Karl Rahner così si esprimeva: «Il cristianesimo ha finito di essere un cristianesimo tradizionale ed ereditario». Il card. Christoph Schönborn, come presidente della Conferenza episcopale austriaca, nel 2011 gli faceva eco dicendo che era arrivato il momento di passare «da un cristianesimo ereditato per tradizione a un cristianesimo liberamente scelto». Già, ma come fare? Sull’analisi tutti concordano. Sulle scelte da operare (forse) un po’ meno. Il vero problema è come interpretare questa transizione. L’Istituto superiore di scienze religiose di Padova, in occasione dell’apertura dell’anno accademico, ha invitato il teologo Giuliano Zanchi, della Diocesi di Bergamo, docente di Teologia all’Università Cattolica di Milano, ad affrontare proprio il tema: “Fine del cristianesimo o della cristianità?”. Nell’introduzione al suo intervento è stato molto esplicito spiegando che la «Chiesa si sente isolata e i pastori sono disorientati, costretti a cavarsela fra una società dinamica e una Chiesa pachidermica. È fondamentale, però, discernere il momento, saper leggere la situazione nella sua ampiezza epocale e anche geografica nello spazio che occupa, per capire che queste transizioni riguardano solamente le nostre latitudini europee, occidentali, immerse in quella storia culturale dove sono la scienza e la tecnologia a mettere a tacere la coscienza del credente. Il senso religioso resiste nelle aree del mondo che non sono legate a questa storia culturale: Africa, Asia e America Latina. Nel 2050, il 72 per cento dei battezzati verrà da qui». Possiamo consolarci? Se questo può far pensare alla scomparsa della religione in Europa, è vero invece il contrario, visto che la religione dilaga un po’ dappertutto. Essa è tornata sulla scena in modo vigoroso, come rilevato anche dai sociologi. È un ritorno di Dio. Non si parla più di secolarizzazione, ma di post-secolarità, qualcosa che viene dopo la secolarizzazione. Il ritorno del senso religioso va inteso come ricerca di valori e sete di senso che assume caratteristiche tendenzialmente gnostiche, misteriche, orientaleggianti, indirizzate a una sacralizzazione della natura, in cui il sacro si deposita nella dimensione psichica. Ci si domanda dunque: è morta solo la cristianità (intesa come “fenomeno sociale”) o lo stesso cristianesimo (cioè la religione come dottrina)? Il declino riguarda il cristianesimo o le sue Chiese? È in crisi la Chiesa o “questa” Chiesa? Si cercano esperienze più autentiche e vicine al sentire personale. Giuliano Zanchi ha posto, nel suo intervento all’Issr di Padova, otto questioni rilevanti: 1. accettazione dei limiti per maturare serenamente una propria posizione nel mondo. In un libro recente il cardinale di Bruxelles Jozef De Kesel dice: «La Chiesa non può più aggrapparsi alla posizione culturale che aveva in passato per pensare al futuro». Questo “non essere più” significa rimeditare sulla differenza tra cristianizzazione ed evangelizzazione, liberarsi di certi fardelli. La Chiesa è solo un segno del Regno, nella minorità può dare prova della generosità, rimanendo insediata dove abitano tutti. I cristiani si raccolgono ma non si appartano, altrimenti il Vangelo muore fra le mani. Va riletta in profondità – suggerisce Zanchi, la Lettera a Diogneto; 2. il cristianesimo non è meno vero per il fatto di essere meno forte. Deve però trovare le qualità per non essere insignificante. Abbiamo tutti l’impressione che avendo ingabbiato il cristianesimo sul piano dottrinale, lo abbiamo allontanato dalla vita come esperienza. Il risultato è una sostanziale insignificanza sociale. «Fateci vedere un cristianesimo credibile e vivibile, è la domanda esplicita della disaffezione di cui ci sentiamo circondati»; 3. un cristianesimo credibile si anima di ragioni profonde, mai formulate una volta per tutte. La filosofia laica ricorre alle risorse del cristianesimo. Ridire il cristianesimo è una opportunità che questo tempo ci offre. Il luogo è la Scrittura, un vero accesso ai suoi contenuti senza diventare idolatria del testo o sclerosi dell’istituzione. Significa farsi istruire dal Signore che parla nella Scrittura. Vanno considerate le sollecitazioni culturali dei nuovi saperi; 4. vanno attivati due registri essenziali: profetico e sapienziale. Il cristianesimo sarà anche minoranza sociale, «ma potremo fare quello che in maggioranza non siamo stati capaci di fare: custodire nella città forme di umanità che fanno la differenza, ricordandoci che profezia non è massimalismo etico». Il registro sapienziale serve per evitare che una vocazione alla profezia diventi intransigente; 5. dall’esclusività all’inclusione, conversione che tutti si aspettano dalla Chiesa. Certo ci può essere molta retorica in questa espressione. La scomparsa della figura del praticante a vantaggio di quella del nomade e del pellegrino. Un tale cambiamento condiziona anche la nostra dimensione. Questo scenario ci fa pensare a un mondo che si muove attorno a Gesù. La Chiesa deve essere a immagine di Gesù, irradiazione della Chiesa che nella sua ragionevolezza ha la sua attrattiva; 6. superare la dicotomia clero-laici, primo ostacolo alla riforma della Chiesa. Approfondire il fondamento cristologico del mistero comporta accettare la storicità dei ministeri che ne discendono. In passato i ministeri sono stati pensati come prerogativa maschile incentrata sulla potenza del sacramento. I ministeri in futuro saranno ministeri di soglia legati all’annuncio e all’ascolto; 7. la questione maschile e femminile. Il cristianesimo non riuscirà a cambiare se non recupera il femminile sotto il profilo del pensiero e della teologia. Non è più rimandabile se non a costi molto alti. Sono dilemmi che vengono posti alle nostre pastorali dalla diversificazione degli orientamenti sessuali cui corrispondono persone reali. Su questi temi la Chiesa viene molto osservata. Essa è misurata nella sua capacità di accogliere più che nella sua preoccupazione di decidere... ci devono interessare le persone prima delle idee; 8. la messa: risignificare la ritualità; il momento fondativo è divenuto termometro perennemente attivo di un declino del vecchio cristianesimo culturale. Per dieci secoli la messa è stata il grande rito di socializzazione di massa. La crisi della messa ci suggerisce che dobbiamo pensare la vita cristiana costruita attorno a una molteplicità di esperienze, ma anche pensare a comunità che possono raccogliersi attorno alla Parola con figure guida diverse da quelle cui siamo abituati. Ritualizzare i momenti della vita, nascita, morte, matrimonio, resta poi un bisogno insopprimibile. In molte aree dell’Europa ci sono i laici a farlo. Sono il domani della comunità.

Cambia la geografia del cristianesimo

«Il cristianesimo deve essere globale – ha sottolineato don Gaudenzio Zambon, docente “emerito” di Teologia dell’evangelizzazione all’Issr – Se si definisce europeo, americano o africano, tradisce questo ideale, perché non può essere limitato a un continente. La Chiesa è la casa del cristianesimo, ma se cambia la geografia del cristianesimo, cambia anche il futuro della Chiesa». Nell’Africa sub-sahariana i cristiani sono il 23 per cento, ma la popolazione africana è in rapido aumento: si stima che, nel 2050, gli africani saranno il 25 per cento degli abitanti del pianeta e il 33 per cento dei cristiani nel mondo. In Africa, sta nascendo una terza Chiesa che si affianca a quella occidentale e orientale del passato e che deve fare i conti con quelle pentecostali. L’Asia è il continente più religioso e il meno cristiano. Come in America Latina e in Africa, si è sviluppata la teologia della liberazione.

Il sociologo. Modalità nuove di vivere la fede
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«Il cristianesimo conosce oggi una vitalità inattesa, soprattutto fuori dell’Europa e in molti Paesi africani, asiatici e latinoamericani» spiega il sociologo dell’Università di Padova, Enzo Pace. Se nel Vecchio continente, esso può apparire a fine corsa, altrove è in crescita sia pure sotto forme diverse. Non ha più solo il volto delle Chiese storiche (cattolica, riformata e ortodossa), con cui il cristianesimo si è fatto conoscere ed è stato conosciuto in tutti i continenti. Verso dove sta andando il cristianesimo? «Negli ultimi quarant’anni si è affermato un nuovo tipo di cristianesimo. Esso sembra in grado di confezionare un vestito su misura di quanti credono più per scelta che per tradizione. Molti credenti sono insoddisfatti delle Chiese storiche e delle composte liturgie che esse custodiscono. Sono alla ricerca di un luogo dove fare un’esperienza diretta della forza salvifica del messaggio evangelico o dei doni dello Spirito». Sembra segnato anche il destino della Chiesa… «Questo cristianesimo ultramoderno ha portato alle estreme conseguenze ciò che il movimento pentecostale, in tutte le sue varianti e articolazioni, aveva valorizzato per rinnovare il cristianesimo ai primi del Novecento. Dal risveglio pentecostale sono nate una moltitudine di Chiese, con tanti nomi diversi. In verità, non c’è una Chiesa sola, ma tante comunità che sentono di essere guidate dal soffio dello Spirito e che, perciò, preferiscono strutture organizzative leggere, come tende che resistono al vento, ma che si fa presto a smontare per andare altrove». Come vede la situazione in Europa? «In Europa è finita la società cristiana, ma non è finito il cristianesimo. L’ondata pentecostale è arrivata nelle Chiese storiche o portata dagli immigrati o da missionari delle nuove formazioni carismatiche. Credere è sempre più una scelta così come la decisione di far parte di una comunità di credenti. Si apre uno spazio nuovo per la Chiesa cattolica: come comunicare la Parola a quanti non danno più per scontato di dirsi ancora cristiani e, allo stesso tempo, non hanno ricacciato al fondo del loro cuore la ricerca di senso del vivere e del morire»

Guardini: «La Chiesa si risveglia nelle anime»
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Il fatto che il cristianesimo e la Chiesa vengano sempre più percepiti e praticati come separati fra loro – Believing without belonging – (credere senza appartenere, acuta espressione della sociologa inglese Grace Davie), ci deve far riflettere. Romano Guardini, teologo e filosofo (Verona 1885 - Monaco di Baviera 1968), è uno dei pensatori che potrebbe tornare ancora utile. Un secolo fa scriveva: «Si è avviato un processo religioso di portata incalcolabile: la Chiesa si risveglia nelle anime». Fu profetico. Questo slogan accompagnò poi i diversi movimenti di rinnovamento della prima metà del 20° secolo: il movimento biblico, quello liturgico e il movimento giovanile. Era scoppiata una nuova fame religiosa. Allora la gente desiderava autenticità, risposte convincenti, e non solo sentirsi ripetere “verità eterne”.

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