Lazzaro e la “parola magica”. La Lectio magistralis di padre Sporschill e il racconto dei bimbi di strada

P. Sporschill non è uno molto “social”, ma è straordinariamente “sociale”, e più che le autostrade della rete (virtuale), ama percorrere i vicoli delle periferie (reali).

Lazzaro e la “parola magica”. La Lectio magistralis di padre Sporschill e il racconto dei bimbi di strada

Domenica di Cristo Re del 1978. Ero curioso di sapere quale sarebbe stato il brano del Vangelo nel giorno della mia consacrazione sacerdotale. Era Matteo 25: ‘Quello che avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avrete fatto a me’. Allora non sapevo che quello sarebbe diventato il programma della mia vita”.

Si presenta così, p. Georg Sporschill. Nei giorni scorsi l’università di Udine gli ha conferito la laurea magistrale honoris causa in scienze della formazione primaria. Lo raccontano i suoi confratelli gesuiti austriaci sulla loro pagina Facebook.

P. Sporschill non è uno molto “social”, ma è straordinariamente “sociale”, e più che le autostrade della rete (virtuale), ama percorrere i vicoli delle periferie (reali). Originario di Feldikirch (Austria), dove è nato il 26 luglio 1946, da oltre quarant’anni ha come cattedra la strada, dove si è specializzato in “disagio giovanile” e dove i ragazzi di strada, soprattutto quelli più difficili, sono diventati i suoi maestri. “Sono loro – spiega – ad avermi sollecitato ad esprimermi, a vincere la mia paura, ad imparare la pazienza e la fantasia nel lavoro di educatore e ad abbandonare i miei preconcetti nel lavoro sociale”. Nella sua lectio magistralis ne ricorda uno di questi professori. “Lazzaro era uno dei primi bambini di strada che nel 1991 avevo incontrato alla stazione Nord di Bucarest – racconta -. Indimenticabile perché allora quel piccolo bambino aveva avuto compassione di me, perché ero appena arrivato in Romania. Io all’epoca non parlavo ancora il rumeno e non sapevo dove, nel quartiere buio e privo di illuminazione stradale, potevo comperare del pane. Lazzaro mi insegnò a gesti come si dice pane in rumeno: ‘paine’. Lui aveva fame – come la piccola orda che ci seguiva – e mi portò a un panificio. Ancora prima che io potessi pagare mi tirò per un braccio gridando “scappiamo!”. Spesso ho dovuto, assieme al mio seguito, mettermi improvvisamente a correre perché la polizia o i commercianti ci pigliavano a bastonate. Dal mio professore avevo imparato come si dice pane e dove trovarlo, ma lui doveva imparare che noi per prenderlo lo dovevamo pagare. Per i bambini di strada è qualcosa di sconosciuto…”. Qualche tempo fa lo ha rivisto. “Ero a Bucarest. Mi si è avvicinato un uomo tatuato – ricorda p. Sporschill -. Era appena uscito dal carcere e mi ha chiesto: ‘Non mi riconosci? Io sono Lazzaro, il tuo professore’. Allora mi ricordai di lui”.

Quel bambino è cresciuto, ma anche da grande è sempre rimasto “professore”. E da lui p. Sporschill riceve una nuova lezione di vita. “Il Lazzaro adulto non si ricordava più di quanto aiuto avesse ricevuto da bambino, ma piuttosto di come mi aveva aiutato – spiega il gesuita -. Si ricordava di quello che aveva potuto dare, come la povera vedova che con quel poco che aveva per sopravvivere, aveva preparato del pane e aveva nutrito il profeta Elia. Gesù, geniale psicologo, lo dice chiaramente: ‘Donare è più bello che ricevere’ (At 20,35). Non c’è gioia più grande per ogni uomo di sapere di possedere qualcosa e di poterlo donare”.

Se dovessi descrivere con una sola parola il mio lavoro tra i ragazzi di strada a Bucarest e oggi, a Sibiu in Transilvania, negli slums dei Rom, dove è nato il progetto Elijah, – aggiunge p. Sporschill – direi in rumeno ‘mulțumesc’, multum est, cioè ‘grazie’. I miei ragazzi la chiamano ‘la parola magica’, perché chi ringrazia vede cosa possiede. Perché chi ringrazia vede cosa può fare. Questo dà consapevolezza di sé e il coraggio per aiutare gli altri. Io devo ringraziare i miei fratelli e le mie sorelle di strada e dei campi Rom. Mulțumesc. Nei fratelli e nelle sorelle più piccoli io incontro Gesù. Sì, così si è compiuto il Vangelo della mia ordinazione sacerdotale”.

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Fonte: Sir