Mons. Gugerotti, che sarà creato cardinale da papa Francesco: "Oggi, dare la vita per la fede non è più una metafora"

«A mezzogiorno e mezzo di domenica (9 luglio, ndr) mi arriva un messaggio: Auguri! Mi chiedo: e di che? È il solito scherzo da preti, visto il mittente? Poi me ne sono arrivati a decine...».

Mons. Gugerotti, che sarà creato cardinale da papa Francesco: "Oggi, dare la vita per la fede non è più una metafora"

E così mons. Claudio Gugerotti (68 anni, mazziano e veronese doc, prefetto del Dicastero delle Chiese orientali, ex nunzio apostolico nel Caucaso, in Bielorussia, in Gran Bretagna) ha saputo che il prossimo 30 settembre sarà nominato cardinale, uno dei 21 scelti da papa Francesco per il concistoro.

– Se l’aspettava?
«Mmh... Sì e no. Anticamente i prefetti delle congregazioni diventavano cardinali, ma papa Francesco aveva cambiato la norma. E il Pontefice ora guarda più agli obiettivi che si prefigge, che alla tradizione. E pensare che il Papa lo avevo incontrato venti giorni prima…».

– E non le aveva preannunciato niente?
«Macché, non una parola. Abbiamo parlato d’altro, anche di Verona e del suo Vescovo. Quando parlavo della mia diocesi, gli brillavano gli occhi. E mi fa: “Sarai contento del Vescovo che ho mandato nella tua città, eh?». E pure a Gugerotti brillano gli occhi dietro gli occhiali: perché da nunzio apostolico ha girato mezzo mondo, si occupa di uno spicchio rilevante dello stesso, ma quando parla della sua terra e dei “suoi” veronesi, spunta l’orgoglio di appartenere ad una città, ad una comunità che qualcosa di speciale ce l’ha. Una solidarietà che qui ha radici e ramificazioni solidissime; quell’ironia «che abbiamo nel sangue e che non sempre è capita da chi veronese non è e non ha il cervello scombinato dall’aria del Baldo». Una cattolicità che sicuramente non è più quella di una volta – schiacciata a volte da un benessere che antepone il portafoglio al cuore –, ma che ha tratti quasi unici in Italia. Ieri come oggi. «Mi sia consentito sottolineare, ad esempio, che la nostra diocesi ha tre cardinali (Mario Zenari ed Eugenio Dal Corso, ndr). E tutti scelti da questo Pontefice», aggiunge mons. Gugerotti.

– Cosa cambierà per lei?
«Nulla, salvo che non sarò più vescovo di di Ravello, e un po’ mi dispiace. E nella consapevolezza che quel motto, usque ad sanguinis effusionem, acquista ora ancor più valore. Oggi, dare la vita per la fede non è più una metafora. A settembre andrò ad Aleppo ad ordinare il nuovo Vescovo, un francescano che è stato per quattro mesi prigioniero dell’Isis, e che poi ha comunque scelto di rimanere in quelle terre martoriate. Verranno anche il card. Zenari e il neo-cardinale Pizzaballa da Gerusalemme!». Te lo dice come se andare ad Aleppo, che tra guerra e terremoto è uno dei luoghi più disastrati e pericolosi sulla Terra, fosse normale routine. Però si tenga conto che, da prefetto del Dicastero delle Chiese orientali, si occupa di una serie di Chiese che corrispondono quasi alla perfezione all’elenco dei posti che il ministero degli Interni ci invita a non visitare, se proprio proprio vogliamo soggiornare all’estero: Ucraina, Etiopia, Eritrea, Siria, Libano, Russia, Armenia, Bielorussia... «Ah, sono appena tornato dalla Bielorussia, il Papa mi aveva chiesto di presenziare ad una cerimonia mariana che per i cattolici è importantissima: vedesse quante persone, che fede solida e generosa che ho trovato lì! Sono Chiese molto “segnate”, la vicinanza del Papa è motivo di grande consolazione».

– Torniamo alle nomine. Che idea si è fatto?
«Di un Pontefice che guarda al mondo intero e che sceglie pastori che si mescolino al gregge dei fedeli. Mi pare una costante di tutto il pontificato».

– C’è chi lamenta una certa sottovalutazione dell’Europa...
«Direi il contrario: c’è una certa sopravvalutazione da parte nostra dell’Europa. Che ha sicuramente radici solide e ha dato un contributo culturale enorme. Ma oggi fatica ad essere il motore del Cristianesimo, che cresce in tutto il mondo mentre da noi si chiudono Chiese e seminari. Non siamo né “i più”, né “i migliori”. Ultimamente ci stiamo distinguendo più come esportatori di armi, che di idee. E se esportiamo idee, lo facciamo con le armi...».

– Tra i suoi nuovi “colleghi” ci sarà pure mons. Victor Manuel Fernandez, il discusso neo-prefetto del Dicastero per la Dottrina della fede, teologo argentino in ottima sintonia con il Pontefice.
«Mi faccia dire una cosa: noi cattolici dobbiamo renderci conto che la cattolicità vuol dire diversità. Non può esserci universalità che sia ripetizione. Discutiamo pure, ma cerchiamo di capire che essere cattolici vuol dire essere diversi. E non attacchiamoci al passato, ma facciamoci guidare dallo Spirito santo. Se andiamo in certe direzioni, io penso e credo che sia lo Spirito a guidarci. O non crederei. E trovo inutile questa logica – che taluni hanno – di farsi un Papa pret a porter».

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