Quel prete slovacco a Solda. Don Josef Hurton, pioniere del soccorso alpino, è morto il 10 ottobre, a 95 anni, tra le montagne

Nella sua vita, don Hurton ha recuperato oltre 200 vittime di incidenti mortali in montagna. Davanti ad ogni cadavere si fermava in preghiera

Quel prete slovacco a Solda. Don Josef Hurton, pioniere del soccorso alpino, è morto il 10 ottobre, a 95 anni, tra le montagne

“Perché un prete slovacco a Solda? Dopo il comunismo, dopo l’esperienza dei lavori forzati, avevo soltanto un desiderio: essere libero. Quando il vescovo Gargitter mi ha scritto ‘Lei mi ha detto che vuole una parrocchia. Il parroco di Solda è morto sotto una valanga e nessuno vuole andarci”, chiesi ad un mio compagno di studi se avesse mai sentito parlare di Solda. Lui mi rispose che era qualcosa di bello, molto bello. E quando accettai il mio cuore si riempì di gioia nel sentire il vescovo Gargitter che mi diceva che qualsiasi cosa avessi fatto, anche con i turisti, per lui sarebbe stata una cosa giusta. Arrivando a Solda mi sono sentito libero: un’enorme libertà dopo l’esperienza molto difficile del comunismo”.

E il 1° agosto 1960 quando don Josef Hurton arriva a Solda in sella alla sua moto. Quello con il paesino venostano che sorge a 1.906 metri, ai piedi del massiccio dell’Ortles-Cevedale, è un amore a prima vista. Tanto che non lo sapeva ancora, ma lui da quella gente e da quelle montagne non si sarebbe separato mai più. 

Don Josef Hurton è morto martedì scorso, 10 ottobre, a 95 anni, tra quelle montagne che in oltre 60 anni sono diventate parte di lui e lui parte di loro. 

“È un motore che abbiamo nella nostra anima – raccontava alcuni anni fa in un’intervista al settimanale diocesano “Il Segno” – il desiderio innato di andare sempre verso l’alto. Non basta arrivare alla cima. Poi si pensa sempre a qualcosa che sta più in su. Questo credo che sia lo scopo della montagna: che si arrivi anche al Creatore, che ci vuole tanto bene. Noi dobbiamo essere consci di tutto questo e quando siamo sulla montagna dobbiamo ricordarci che un uomo vale più di tutto il creato, più di tutte le stelle e le montagne. Questo era il piano del Signore, che ha posto l’uomo al di sopra di tutte le creature, ma gli ha affidato anche il compito di preservarle e di rispettarle”.

Josef Hurton nasce a Bratislava, in Slovacchia, il 25 marzo 1928. Frequenta le scuole elementari in Austria. Poi la sua famiglia si trasferisce in Ungheria dove frequenta le medie. Successivamente tornano nuovamente in Slovacchia e qui Josef frequenta il ginnasio fino alla maturità. “Gli anni del ginnasio – raccontava a “Il Segno” – sono stati tutt’altro che semplici. Avevamo a che fare con professori comunisti; quando venivamo provocati abbiamo anche opposto resistenza. Una volta conseguita la maturità, crebbe in me il desiderio di studiare medicina. Per essere ammessi alla facoltà, però, dovevamo sostenere un esame politico. Dal momento che credevo in Dio e che non mettevo in discussione la Chiesa e il primato del Papa, per me la strada negli studi era di fatto sbarrata”. Quando gli viene chiesto “Credi in Dio?” lui risponde affermativamente e per questo viene espulso da tutte le università. Ma non solo. “Nel giro di due settimane mi ritrovai in un campo di lavori forzati. In questo lager erano stati internati centinaia di sacerdoti, studenti e accademici. Erano in sostanza tutti coloro che si erano opposti al regime comunista. Mi ha sempre impressionato come queste persone hanno argomentato la loro scelta di vita e come non avessero alcuna paura dei comunisti. Alla fine decisi, tra mille pericoli, di scappare a Vienna”. È il 1950. Da qui si sposta a Roma dove studia filosofia e teologia alla Lateranense. Il giorno di Natale del 1955 Josef Hurton viene ordinato sacerdote a Roma. Ma non poteva fare ritorno in Cecoslovacchia. Né restare a Roma. Bussa allora, insieme, ad un gruppo di compagni di studi, alla porta dell’allora diocesi di Bressanone, con la richiesta di essere accolto. “Il mio primo incarico fu a Badia, cui seguì Sesto Pusteria. È lì che ho conosciuto l’ambiente alpino e che l’ho imparato ad amare. Nel 1958 desideravo tornare a Roma per studiare all’università degli studi orientali. Il vescovo Gargitter mi diede il suo consenso”. Nella primavera del 1960, prima che terminasse gli studi, arriva la lettera di Gergitter, che gli chiede di prendere la guida della parrocchia di Solda. Il parroco era morto e nessuno aveva avanzato domanda per andare fin lassù. Lui accetta. “Portavo una barba folta e lunga come era consuetudine in Russia – ricordava –. Non poche persone, vedendomi, mormoravano frasi del tipo ‘che brutto prete che ci hanno mandato’. Il giorno dopo, a barba completamente rasata, le opinioni cambiarono. E i parrocchiani organizzarono una festa e una processione”.

Gottfried Leiter, parroco di Solda, era stato sepolto da una valanga dell’Ortles il 29 gennaio 1960. Per settimane lo avevano cercato invano. A ritrovarlo, il 20 aprile di quell’anno, fu il cane di Fritz Reinstadler, “Mohrele”. Quel piccolo bastardino, col suo fiuto da grande segugio, aveva mostrato quanto importanti sono i cani da ricerca nelle valanghe. Proprio quella tragedia ispirò quella che è stata la seconda “vocazione” di don Hurton, che diviene pioniere del soccorso alpino e insieme a Fritz Reinstadler fa nascere nel 1970 la prima Scuola nazionale per cani da valanga. E lui di cani da valanga ne guiderà 5.

Sempre nel 1970 don Hurton diventa direttore della sezione di Solda del soccorso alpino, incarico che manterrà fino al 2001. È lui che avvia il potenziamento della sezione con l’introduzione del servizio di elisoccorso. “Con i ragazzi del soccorso alpino – raccontava don Hurton – si vive come in una famiglia, dove ognuno sa e deve sapere cosa ha da fare. Lavorare con loro non è mai stato un problema, perché sono degli idealisti e lavorare con idealisti simili è facile. Ognuno di loro ha il suo mestiere, ma lascia in caso di necessità il lavoro, senza sapere per quanto tempo sarà impegnato nei soccorsi”.

Nella sua vita, don Hurton ha recuperato oltre 200 vittime di incidenti mortali in montagna. Davanti ad ogni cadavere si fermava in preghiera, “perché non è un pezzo di legno, ma un uomo che vivrà in eterno”. Sabato scorso, nella chiesetta di Solda, dove don Hurton ha accompagnato tante persone nel loro ultimo tratto di salita, quello che porta più in su della cima, ad accompagnare lui c’era la famiglia del soccorso alpino di Solda. E poi tante persone, che in questi decenni lo hanno incontrato non solo in parrocchia, ma anche lungo un sentiero di montagna o nella stube della canonica, o ancora in una delle conferenze che teneva negli hotel del paese per raccontare ai turisti, con parole e immagini la montagna, con la sua dimensione spirituale. 

“Il solo stare in montagna trasforma ogni persona – diceva don Hurton a “Il Segno” –. A chi andrà a fare un’escursione in montagna auguro di trovare uno spazio per se stessi, per la propria anima. È difficile da spiegare, ma quando uno va spesso in montagna e trova momenti di riflessione e contemplazione della natura, quando poi torna a casa comincia a lavorare in un altro modo”.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir