Salmo 119 – quarta parte. Come un segnavia di montagna impresso nell’intimo, la luce della Parola non ci abbandona mai

La benedizione per tutte le famiglie è di celebrare il lavoro con lo spirito della Sacra Famiglia.

Salmo 119 – quarta parte. Come un segnavia di montagna impresso nell’intimo, la luce della Parola non ci abbandona mai

Con oggi si conclude il commento al Salmo 119. La preghiera di affidamento alla Parola di Dio che il popolo ebraico vive con devozione e che i cristiani, insieme con i loro fratelli, cantano con altrettanto fervore vedendo nel Figlio il Verbo fatto carne, donato totalmente perché nessuno di coloro che il Padre gli ha affidato vada perduto. “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (v. 105). Basterebbe questa cristallina metafora – per sintetizzare tutto quanto scritto fin qui della rivelazione di Dio all’uomo. Un verso di rara bellezza, inciso sulla lapide dove, nel Duomo di Milano, riposano le spoglie del Cardinale Carlo Maria Martini, uno degli uomini di Dio per cui una moltitudine innumerevole di cristiani nutre una gratitudine non quantificabile. Il saggio gesuita ha guidato la diocesi ambrosiana dal 1980 al 2002 e, fra i tantissimi doni che la sua vita ha significato per la Chiesa, è indubbio che la trasmissione appassionata dello studio orante e della preghiera a partire dalla Parola di Dio sia stata una delle sue principali sollecitudini pastorali. Dalle prime Scuole della Parola (gremite in Duomo o in Sant’Ambrogio), in cui educava, in specie i giovani, ad accostare la Bibbia col metodo antico e sempre fruttuoso della Lectio Divina; in tutte le feconde lettere pastorali; nell’impegno per il dialogo interconfessionale e interreligioso; con l’esperienza inedita de La cattedra dei non credenti, esprimendo il carisma speciale di confrontarsi anche coi “lontani”; in ogni evento ecclesiale vissuto da pastore dell’arcidiocesi più popolosa del mondo, “Padre” Martini – che Giovanni Paolo II aveva scelto come vescovo traendolo dalla sua formazione di biblista all’Università Gregoriana – non si è mai allontanato da una verità vissuta col cuore e testimoniata nelle opere: Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino. Parole da custodire nella memoria ed essere ripetute chissà quante volte in una giornata, come antidoto alle tentazioni quotidiane di perdere il passo o a smarrire il cammino. Come un segnavia di montagna impresso nell’intimo, la luce della Parola non ci abbandona mai, come mai, dalla sua resurrezione, Cristo è distante da ogni prova, anche la più angosciante e dolorosa. E nel tempo in cui ricordiamo i diritti dei lavoratori e la Chiesa celebra ancora una volta San Giuseppe, pensiamo a come il padre putativo di Gesù abbia saputo certamente pregare e vivere i versi del salmo. “Ho giurato, e lo confermo, di osservare i tuoi giusti giudizi. Sono tanto umiliato, Signore: dammi vita secondo la tua parola” (vv. 106-107). In quelle notti di turbamento, dopo aver saputo che Maria era incinta, il falegname di Nazareth forse avrà ripetuto, rigirandosi, insonne, queste parole e proprio la purezza della sua preghiera avrà propiziato il sogno dell’angelo Un villaggio intero gli si sarebbe da lì a poco rivoltato contro nella scelta di non lapidare la sua promessa sposa, in evidente adulterio agli occhi degli uomini. “Signore, gradisci le offerte delle mie labbra, insegnami i tuoi giudizi” (v. 108). Giuseppe ha saputo capire la volontà misteriosa di Dio, perché la sua intensità di preghiera era così casta che ancora oggi ci è di modello e guida. “La mia vita è sempre in pericolo, ma non dimentico la tua legge. I malvagi mi hanno teso un tranello, ma io non ho deviato dai tuoi precetti. Mia eredità per sempre sono i tuoi insegnamenti, perché sono essi la gioia del mio cuore. Ho piegato il mio cuore a compiere i tuoi decreti, in eterno, senza fine” (vv -109-112). Giuseppe è l’uomo che si riveste di una forza non sua, ma che gli deriva dalla fiducia sconfinata nel Padre: il viaggio per il censimento a Betlemme, la nascita nella precarietà del figlio, col rischio di perdere sia il piccolo, sia la madre tanto amata. La fuga in Egitto (un viaggio disperato eppure affidato a una Speranza: molto simile a quello dei tanti che arrivano oggi sulle nostre coste), la capacità di capire quando è il tempo opportuno per tornare in patria. Davvero anche Giuseppe con Maria, insieme al “piccolo Dio” che custodivano avrebbero potuto arrendersi alle prove apparentemente insormontabili di un’esistenza fatta per lo più di angosce drammatiche. Avrebbero potuto dire con tutti noi nel mondo che vivere e lavorare stanca (Pavese). Invece la benedizione per tutte le famiglie è di celebrare il lavoro con lo spirito della Sacra Famiglia, ardenti di gratitudine per un dono, che non sia mai un idolo, ma uno strumento offerto dal Signore per santificare con i talenti e la passione delle pazienze (Delbrel) ogni nostro giorno.

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Fonte: Sir