Salmo 119 – terza parte. Dio ci mostra quanto l’amore vero lascia liberi di non essere corrisposto

Molto spesso noi genitori abbiamo l’onere di amare i figli anche quando non seguono assolutamente i nostri insegnamenti e si ribellano ad essi.

Salmo 119 – terza parte. Dio ci mostra quanto l’amore vero lascia liberi di non essere corrisposto

Forse non poniamo sufficiente attenzione a quanto sia prezioso il processo attraverso il quale gli esseri umani apprendono i rudimenti del vivere. È siderale la distanza che intercorre fra la pura e istintiva mimesi che lega i comportamenti dei cuccioli animali a quelli dei loro progenitori e l’educazione, il “trarre fuori” carismi, talenti, attitudini e propensioni nei ragazzi e nei giovani, da parte di tutti coloro che condividono questa responsabilità formativa. Davvero chi educa ed insegna, i testimoni e i maestri – chi ci ha donato la vita prima di tutti gli altri – esercitano l’antica disciplina della maieutica, che è un altro modo per dire, appunto, che si tratta di tirare fuori, come fa l’ostetrica quando aiuta la partoriente a dare alla luce il suo neonato. Il lungo salmo 119 – che visitiamo già per la terza volta – torna, a più riprese, sul vincolo d’amore che lega il credente alla Legge, alla Parola di Dio e in qualche modo il rapporto umano che più lo rappresenta è proprio quello fra un Padre e un figlio che apprende e ama non solo ciò che ha appreso, ma ancora più vividamente la persona stessa che gli ha trasmesso quegli insegnamenti, che sono condivisione di vita. “Venga a me, Signore, il tuo amore, la tua salvezza secondo la tua promessa” (v. 41). “La mia delizia sarà nei tuoi comandi, che io amo”. (v. 47). “Insegnami il gusto del bene e la conoscenza, perché ho fiducia nei tuoi comandi” (v. 66). “Tu sei buono e fai il bene insegnami i tuoi decreti” (v. 68). “Venga a me la tua misericordia e io avrò vita, perché la tua legge è la mia delizia (v. 92). Ancora, un’espressione che è la dichiarazione d’amore più sintetica ed esplicita che ogni innamorato può rivolgere al suo amato: “Io sono tuo: salvami, perché ho ricercato i tuoi precetti” (v. 94). Gli esegeti dicono che l’incipit del verso in ebraico sono due sole parole senza neanche il verbo e si potrebbero tradurre anche con: “a te io”, due termini che nella lingua antica hanno la stessa radice delle parole che aprono la storia della salvezza, quando Dio dice ad Abramo: Lek lekà, ovvero “va a te stesso”. Questo invito, unito a “io sono tuo” è come se componesse l’identità stessa del credente: “io sono tuo, perché sempre in cammino verso di Te”. È chiaro che qui travalichiamo lo stesso rapporto che, anche nelle migliori delle ipotesi, può esserci fra un padre umano ed un figlio; tutti i padri sulla terra sono in qualche modo “adottivi” come Giuseppe di Nazareth e dovrebbero sempre ricordarsi che è un altro il Padre a cui indirizzare e affidare i loro figli. Anzi, molto spesso noi genitori abbiamo l’onere di amare i figli anche quando non seguono assolutamente i nostri insegnamenti e si ribellano ad essi: ma, come ha fatto Gesù col giovane ricco, siamo chiamati ad amare anche le spalle di chi non accetta di seguirci e si volge indietro: è un paradosso, ma è proprio Dio che ci mostra quanto l’amore vero lascia liberi di non essere corrisposto. Eppure, che gioia quando si può cantare: “Quanto amo la tua legge! La medito tutto il giorno” (v. 97). Non significa certo vivere chiusi in chiesa, o non saper essere solleciti alle necessità dei fratelli, ma – mi si passi l’attualizzazione un po’ grossolana – essere sempre connessi con un navigatore di ultima generazione, che non ti rimbrotta ogni volta se hai sbagliato strada, ma ricalcola il percorso da dove sei finito, anche fosse un vicolo cieco. Allora: “Sono più saggio di tutti i miei maestri, perché medito i tuoi insegnamenti. Ho più intelligenza degli anziani, perché custodisco i tuoi precetti” (vv. 99-100). Può sembrare presunzione, ma è piuttosto sconfinata fiducia in Lui, fiducia fatta d’amore, come mostrano ancora questi due versi che lasciano immaginare un camminatore in montagna che abbia trovato un favo stillante e, dopo essersi rifocillato, riprenda il cammino. “Quanto sono dolci al mio palato le tue promesse, più del miele per la mia bocca. I tuoi precetti mi danno intelligenza, perciò odio ogni falso sentiero” (vv. 103-104).

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Fonte: Sir