Salmo 119. Otto versetti per ciascuna delle 22 lettere dell’alfabeto ebraico, per cantare il dono della Torah, la Grazia di aver ricevuto la Legge

Il salmo è come se inneggiasse alla relazione fra due sposi che non smettono mai di donarsi e di accogliersi e chiamano con nomi sempre nuovi il dono di volta in volta ricevuto.

Salmo 119. Otto versetti per ciascuna delle 22 lettere dell’alfabeto ebraico, per cantare il dono della Torah, la Grazia di aver ricevuto la Legge

Perché non credere che sia un’altra apprezzabile Dio-incidenza che all’inizio della Settimana Santa siamo giunti a commentare il Salmo 119, il più lungo di tutto il Salterio, quello su cui ogni commentatore fin dalle origini rabbiniche e poi nella storia del Cristianesimo si è confrontato con tremore, come Sant’Agostino, che, nelle sue Esposizioni sui Salmi, si decide a cimentarsi su questo carme solo per ultimo. Scriveva l’attuale Cardinale Ravasi: “Si potrebbe preparare un volume raccogliendo i giudizi entusiastici, glaciali, annoiati emessi su questa composizione così simile alla musica orientale che ripete ininterrottamente le sue cellule sonore snodandole in una spirale che, pur essendo sgranata su cerchi paralleli, si svolge verso nuovi spazi secondo un filo incomprensibile perché troppo comprensibile nell’apparente ripetizione sostanziale” Otto versetti per ciascuna delle 22 lettere dell’alfabeto ebraico, per cantare il dono della Torah, la Grazia di aver ricevuto la Legge. Il salmo è come se inneggiasse alla relazione fra due sposi che non smettono mai di donarsi e di accogliersi e chiamano con nomi sempre nuovi il dono di volta in volta ricevuto. I versi sono come il dipanarsi dell’intreccio fra due libertà, quella del dono della Parola di Dio e quella dell’adesione grata, pur nella fatica della sequela, dell’uomo che la riceve. Comprensibile che l’estensione e la densità del Salmo induca a scegliere di commentarne più parti in diverse settimane. Eccoci, dunque, ad un primo brano. “Beato chi è integro nella sua via e cammina nella legge del Signore. Beato chi custodisce i suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore. Non commette certo ingiustizie e cammina nelle sue vie. Tu hai promulgato i tuoi precetti perché siano osservati interamente. Siano stabili le mie vie nel custodire i tuoi decreti. Non dovrò allora vergognarmi, se avrò considerato tutti i tuoi comandi. Ti loderò con cuore sincero, quando avrò appreso i tuoi giusti giudizi. Voglio osservare i tuoi decreti: non abbandonarmi mai” (vv 1-8). Questi versi iniziali sono come un grande portale che apre alla lunga successione di portici che poi seguirà. Già da queste prime parole ciò che possiamo assaporare e meditare cercando di farlo entrare in profondità nel cuore – anche proprio attraverso il ritmo ripetitivo che il salmo assume – è la verità che la legge non è un peso, ma un dono di misericordia. In ultima istanza insegnamenti, vie, precetti, decreti, comandi, giusti giudizi non sono un giogo, un fardello pesante e opprimente, quanto piuttosto segnali stradali posti sulla strada da un Padre amorevole che non vuole che andiamo a sbattere o provochiamo incidenti con danni a noi e agli altri… Ognuno di noi, soprattutto durante quel periodo così delicato e decisivo che è l’adolescenza, siamo portati, per la nostra stessa natura, a credere che le regole siano contrarie alla libertà a cui anela il nostro intimo. La conversione a cui – per tutta la vita siamo chiamati – è quella di convincerci che la Legge di Dio ha una sostanza diversa da qualunque altro regolamento umano (che pure in qualche modo ne partecipa): essa è gratuità totale, manifestazione piena dell’amore di chi ci ha creati. Comprendiamo perché Mosè possa dire ad Israele che nessun altro popolo ha ricevuto un beneficio così grande come quello di ricevere direttamente dal Signore la sua Parola (Dt 4, 32-33.40) e capiamo anche perché Gesù dica chiaramente che non è venuto ad abolire neanche un trattino della Legge, ma a portarne compimento con la sua stessa vita e la donazione totale di sé (Mt 5, 17-19).
“Come potrà un giovane tenere pura la sua via? Osservando la tua parola. Con tutto il mio cuore ti cerco: non lasciarmi deviare dai tuoi comandi. Ripongo nel cuore la tua promessa per non peccare contro di te. Benedetto sei tu, Signore: insegnami i tuoi decreti. Con le mie labbra ho raccontato tutti i giudizi della tua bocca. Nella via dei tuoi insegnamenti è la mia gioia, più che in tutte le ricchezze. Voglio meditare i tuoi precetti, considerare le tue vie. Nei tuoi decreti è la mia delizia, non dimenticherò la tua parola” (vv 9-16). La strofa che inizia con la lettera Bet, dedicata ai giovani che scelgono di seguire il Signore, conferma quanto abbiamo già espresso. Tendere a vivere la purezza della via che Dio traccia per ciascuna persona che si avvia verso la sua autonomia, negli anni rigogliosi della gioventù, non può essere considerata una jattura! Un pegno da pagare per non incorrere in chissà quali castighi divini, o – peggio – in sventure temute con superstizioni peggiori di chi più onestamente ammette di non credere in un Dio Padre di Misericordia e nel Suo Figlio unigenito, nato, vissuto, morto e risorto per ognuno di noi! Il salmista ci parla di gioia, di letizia, di desiderio di non dimenticare la parola ricevuta (ancora una volta) come dono prezioso. Se come genitori cristiani, ma anche come fratelli nella fede e nella carità reciproca, non sappiamo trasmettere ai figli e alle persone con cui condividiamo la vita comunitaria, la gioia autentica, l’entusiasmo sincero e inscalfibile di sperimentare la bellezza, la bontà e la felicità della vita cristiana, come potremo mai ambire ad annunciare alcunché a chi non ha ancora incontrato Gesù? Non possiamo che chiedere questa Grazia nei giorni santi in cui contempliamo il mistero della nostra Salvezza: il Dio in cui crediamo ha vinto la morte, ogni nostra morte, non evitandola, non preservandoci da essa, ma passandoci attraverso prima di noi e da allora con noi per sempre. Questa è la fede in Cristo, sappiamo donarla fuori dalle nostre chiese?

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Fonte: Sir