Salmo 19. Una lode corale che vede partecipare tutta l’assemblea idealmente riunita o una famiglia

Il pensiero corre a quanto le nostre famiglie oggi abbiano del tutto perso la possibilità di lodare la bellezza del Creato.

Salmo 19. Una lode corale che vede partecipare tutta l’assemblea idealmente riunita o una famiglia

Il Salmo 19 è una preghiera da viversi nella pienezza del giorno. Come alcuni dei salmi già fin qui commentati ha al suo interno una sorta di esame di coscienza, ma qui prevale la lode: una lode corale che vede partecipare tutta l’assemblea idealmente riunita, o una famiglia d’Israele che possiamo immaginare in una pausa al termine del lavoro nei campi… a stretto contatto con il dono della natura creazionale. Subito il pensiero corre a quanto le nostre famiglie oggi – soprattutto nelle grandi città, in cui è concentrata la maggioranza della popolazione – abbiano del tutto perso la possibilità di lodare la bellezza del Creato, di fronte ai propri occhi, a portata di mano. È oggettivamente più difficile accorgersi del canto degli uccelli dalla stanza di un appartamento con i doppi vetri per ottundere il rumore del traffico sottostante; oppure la forza riscaldante del sole stesso, così protagonista in questo salmo, da noi oggi più e più volte filtrata e resa distante da tende, cortine, occhiali scuri e quant’altro a proteggerci, come se il contatto così diretto con uno degli elementi più vitali della nostra esistenza ci sia ormai precluso: non siamo più allenati a contemplarlo. Il mirabile componimento commentato questa settimana, si struttura in due parti facilmente identificabili: la prima dedicata ad un inno al Creatore, attraverso la metafora del movimento del sole a sua volta descritto come uno sposo e un atleta (vv. 2-7); la seconda come un canto di lode al Signore che ha donato agli uomini la Legge che, proprio come il sole, illumina chi la mette in pratica (vv. 8-14). “I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il racconto e la notte alla notte ne trasmette notizia. Senza linguaggio, senza parole, senza che si oda la loro voce, per tutta la terra si diffonde il loro annuncio e ai confini del mondo il loro messaggio” (vv. 2-5). Il salmista è come se si arrendesse alla evidenza silenziosa che la Creazione è già Rivelazione di Dio: un cuore in ascolto, un corpo che sente pienamente, trova nella Natura una prima risposta alla domanda sull’esistenza di un Padre che ha disegnato tutto questo per l’uomo. Poi il salmo prosegue e sposta l’attenzione sulla Torah, la Legge, con un corrispettivo rimando a verbi che hanno a che fare con la luce, proprio perché la Parola di Dio, che prima non era necessaria, ora diventa protagonista e si fa “lampada ai nostri passi e luce sul nostro cammino” (cfr. Sal 119, 105). “La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice. I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi” (vv. 8-9). Quante volte nel libro dei Salmi l’uomo in preghiera è invitato a fidarsi di Dio? E quanto noi riusciamo davvero a farlo? Con versi indelebili il salmista ripete a se stesso e al lettore che “i giudizi” di Dio sono “più preziosi dell’oro […] più dolci del miele e di un favo stillante”. Il rapporto con la legge è sempre letto nella chiave dell’amore, i un rapporto filiale, quasi materno: quello che il Signore dice ai suoi figli è dolce, è nutriente, come il miele, perché non ascoltarlo? Segue ancora un riferimento alla possibilità che Dio giudichi l’uomo, non senza, però, la possibilità di essere assolto “dai peccarti nascosti” (v. 13). La tradizione attribuisce a Davide questo salmo e per noi non ha grande importanza che gli studi esegetici possano smentirne la paternità, quello che è bello è immaginare la dimestichezza con cui il piccolo grande re di Israele si rivolge al Suo Signore: “Ti siano gradite le parole della mia bocca; davanti a te i pensieri del mio cuore, Signore, mia roccia e mio redentore” (v 15). Non è possibile enumerare tutti i riferimenti che da Paolo a tanti padri della Chiesa sono stati fatti a Cristo come persona che incarna sia l’immagine del sole, sia quella della Legge/Parola che si fa in Lui carne. È questa un’opzione di lettura che la tradizione cristiana vive da sempre e che la liturgia mette in campo (in questo caso sia a Natale, sia all’Ascensione): a noi la possibilità di pregare queste parole avendo nel cuore la certa speranza che la nostra luce è inevitabilmente Gesù, la Via che possiamo percorrere senza più tramonto.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir