Salmo 35. Possiamo pregare questo salmo con uno sguardo alla nostra responsabilità educativa di genitori

Quando si tocca il fondo, ci pare che solo Dio sappia ascoltarci ed essere dalla nostra parte.

Salmo 35. Possiamo pregare questo salmo con uno sguardo alla nostra responsabilità educativa di genitori

Dopo gli sconvolgimenti atmosferici che hanno turbato i giorni scorsi in tanti luoghi della nostra penisola, mentre alcuni di noi riprendono con dedizione il lavoro forse per troppi pochi giorni interrotto, in queste ultime settimane agostane ci si augura che il sole ritorni sulle Alpi e con esso torni la normalità anche nelle zone marine, pur così segnate dalle intemperie. In questo contesto leggiamo il salmo 35, che non è certo un inno di gioia, quanto piuttosto una lunga e dolorosa invocazione di chi si sente tradito dai suoi stessi amici. Quando si tocca il fondo, ci pare che solo Dio sappia ascoltarci ed essere dalla nostra parte: “Signore, accusa chi mi accusa, combatti chi mi combatte. Afferra scudo e corazza e sorgi in mio aiuto. Impugna lancia e scure contro chi mi insegue; dimmi: Sono io la tua salvezza” (vv. 1-3). Per chi scrive le immagini guerresche contrastano con l’obiezione di coscienza al servizio militare e il rifiuto di ogni guerra, eppure immaginare che il Signore combatta al mio fianco rinfranca l’animo e forse possiamo credere che si tratti di una battaglia spirituale, in cui i nemici sono anche e soprattutto dentro di noi. Molti versi che seguono augurano sventura ai nostri avversari e possiamo legittimamente chiederci se ci è ancora lecito pregare con queste parole dopo che Gesù ci ha detto di amare i nostri nemici e pregare per chi ci perseguita (cfr. Mt 5,44); ma forse la nostra concentrazione dovrebbe andare ad un giudizio che non spetta a noi, ma solo a Lui e comunque non ora, ma nell’ultimo giorno. Di fatto nel cuore del credente prevale la lode: “l’anima mia esulterà nel Signore e gioirà per la sua salvezza. Tutte le mie ossa dicano: Chi è come te, Signore, che liberi il povero dal più forte, il povero e il misero da chi li rapina?” (vv. 9-10). È un’espressione fortissima quella di tutte le ossa di chi prega perché caratterizza la preghiera ebraico-cristiana, in cui non c’è distinzione fra anima e corpo. L’uomo ingiustamente accusato, rivolge a Dio una supplica in cui tutte le parti del corpo sono coinvolte, i denti, la lingua, l’occhio, il cuore. C’è nel salmista il desiderio di accampare dei meriti che gli accusatori sembrano non riconoscergli: “Accorrevo come per un amico, come per un mio fratello, mi prostravo nel dolore come in lutto per la madre. Ma essi godono della mia caduta” (vv 14-15) e allora torna il grido di supplica: “Fino a quando, Signore, starai a guardare? Libera la mia vita dalla loro violenza […] Ti renderò grazie nella grande assemblea, ti loderò in mezzo a un popolo numeroso” (vv. 17-18). Come spesso capita nel corso dei componimenti che leggiamo insieme, viene chiamata in causa l’assemblea, la famiglia di famiglie a cui il pio ebreo si rivolge con la fiducia di essere fra persone di casa: una dimensione che noi oggi abbiamo perso, ma che come comunità cristiana sarebbe bello recuperassimo. “Signore, tu hai visto, non tacere; Signore, da me non stare lontano. Déstati, svégliati per il mio giudizio, per la mia causa, mio Dio e Signore!” Sembra di ascoltare i discepoli che scuotono Gesù dal sonno quando sopraggiunge la tempesta (cfr. Mc 4,38): la paura fa perdere i freni inibitori e il credente che sa di aver bisogno del Signore gli si rivolge con impazienza ed angoscia, senza timori reverenziali. La fede è questione di vita e di morte e noi in fondo lo sappiamo bene. “Giudicami secondo la tua giustizia, Signore, mio Dio, perché di me non debbano gioire” (v 24). In fondo questo verso potrebbe sintetizzare tutto il nostro bisogno di conversione, il nostro desiderio di vincere i pensieri malvagi che sono i nostri peggiori nemici. Anche, forse, chi non crede, è consapevole che la vita è un agone e al suo termine, con solo una piccola variazione semantica, essa sarà un’agonia (breve o lunga, indolore o sofferta). Come vivere questa dimensione di sfida senza che prevalga un’infelice ansia da prestazione che non è certo nei desideri di Dio? Un modo ce lo suggerisce la Lettera agli Ebrei nel passo che abbiamo durante la liturgia domenicale appena celebrata. “È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati” (Eb 12, 7;11-12) Possiamo allora pregare il salmo 35 con uno sguardo alla nostra responsabilità educativa di genitori, consapevoli che solo la testimonianza trasmette un valore che entra nel cuore e la prima che possiamo offrire ai nostri figli è quella di riconoscerci peccatori in cammino, noi per primi bisognosi di chiedere aiuto al Padre per combattere i nostri nemici.

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Fonte: Sir