Salmo 92. Il male non viene dal Signore, ci inganniamo quando pensiamo che esso sia volontà di Dio

Un uomo forte come un bufalo è un gigante, che nella fede si declina in una persona capace di compiere gesti anche più grandi di quelli di Gesù, come egli stesso ha profetizzato.

Salmo 92. Il male non viene dal Signore, ci inganniamo quando pensiamo che esso sia volontà di Dio

Come il salmo commentato settimana scorsa, anche il salmo 92 è “nell’orecchio” del credente che abbia dimestichezza con la liturgia delle Ore, perché è il salmo del sabato, già nella tradizione ebraica e così è rimasto in quella cristiana, per cui nell’arco di questo che è il “settimo giorno”, il giorno del riposo, viene recitato più volte. “È bello rendere grazie al Signore e cantare al tuo nome, o Altissimo, annunciare al mattino il tuo amore, la tua fedeltà lungo la notte, sulle dieci corde e sull’arpa, con arie sulla cetra” (vv. 2-4). Agostino, che abbiamo imparato ad apprezzare come un commentatore acutissimo dei Salmi, scrive che quella del salmista che arpeggia sul salterio, ovvero sullo strumento a dieci corde è un’immagine poetica – musicale per l’appunto – che rappresenta ogni uomo che con le sue mani compie opere buone. Del resto è attribuita sempre al grande vescovo di Ippona la proverbiale frase che “chi canta prega due volte”. E la disposizione d’animo ideale di chi inneggia a Dio, dall’alba al tramonto e pure durante la notte, è quella della lode, della gratitudine gioiosa per i benefici che riconosciamo il Signore elargisce continuamente alla nostra esistenza, se solo riusciamo a sintonizzarci sulla lunghezza d’onda di un’accoglienza fiduciosa del tempo che ci è dato vivere, secondo la sua volontà. “Perché mi dai gioia, Signore, con le tue meraviglie, esulto per l’opera delle tue mani. Come sono grandi le tue opere, Signore, quanto profondi i tuoi pensieri!” (vv. 5-6) Sopraggiunge poi la pars destruens, quella in cui si pone lo sguardo su chi non è aperto all’azione di Dio e non beneficia, quindi, dello stupore rigenerante che essa suscita. “L’uomo insensato non li conosce e lo stolto non li capisce: se i malvagi spuntano come l’erba e fioriscono tutti i malfattori, è solo per la loro eterna rovina”. (vv. 7-8). Qui viene aggiunta una considerazione ulteriore che appartiene da sempre al bagaglio della sapienza biblica: il male non viene dal Signore, ci inganniamo quando pensiamo che esso sia volontà di Dio. In realtà, molto più spesso, dovremmo riconoscere nelle ferite e nelle sofferenze degli uomini le conseguenze non solo del peccato originale, ma anche di quelle “strutture di peccato” – secondo un’espressione coniata da San Paolo VI – a cui tante situazioni sono riconducibili. Anche quando poi il male – perfino quello cieco e misterioso di un terremoto che sconvolge con migliaia di vittime una terra già così martoriata come la Siria e la Turchia – non è umanamente spiegabile, la lotta spirituale rispetto alle tentazioni di una razionalità tutta immanente dovrebbe indurci ad accettare la realtà, in tutta la sua drammatica dimensione, proprio come Gesù Cristo ha accettato l’abominio e la stoltezza della croce. Di nuovo poi, secondo un andamento che alterna lode a condanna, il salmista inneggia a Dio e proclama la sua giustizia escatologica, quella che quasi mai possiamo scorgere nella limitatezza della nostra storia: “ma tu, o Signore, sei l’eccelso per sempre. Ecco, i tuoi nemici, o Signore, i tuoi nemici, ecco, periranno, saranno dispersi tutti i malfattori” (vv 9-10). Il salmo prosegue rinforzando in chiave ancora più personale la fiducia del credente che butta il suo cuore in Dio e riceve in cambio la sua potenza, scambio che permette di non inorgoglirsi perché consapevoli che la forza non è nostra, ma viene da lui. “Tu mi doni la forza di un bufalo, mi hai cosparso di olio splendente” (v 11). Un’immagine icastica e di resa evidente. Un uomo forte come un bufalo è un gigante, che nella fede si declina in una persona capace di compiere gesti anche più grandi di quelli di Gesù, come egli stesso ha profetizzato in merito a chi segue la sua Parola e come centinaia, anzi migliaia di santi hanno dimostrato attraverso i miracoli da essi compiuti. L’immagine dell’olio, invece, non può non indurci a quello con cui siamo stati segnati nel giorno del nostro Battesimo, il crisma, che, infatti è strumento che serve per sfuggire alla presa del Nemico, proprio come avveniva nella lotta fisica di un tempo e per noi oggi spirituale. “Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano; piantati nella casa del Signore, fioriranno negli atri del nostro Dio. Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno verdi e rigogliosi, per annunciare quanto è retto il Signore, mia roccia: in lui non c’è malvagità” (vv 13-16). La preghiera si conclude con una sorta di incoraggiante profezia o semplice visione: quella di chi arriva alla vecchiaia con l’umile e sana consapevolezza che la roccia della sua vita è stato il Signore e che solo lasciando a lui la guida del cammino si è potuto “restituire” frutti di bene offerto e ricevuto. Che bello poter dire alla fine della vita, sazi di giorni, di sentirsi solidi come cedri del Libano piantati nel Tempio di Gerusalemme, eppure, nello stesso tempo, fragili creature pronte all’abbraccio definitivo col Padre.

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Fonte: Sir