Un fascino che viene da lontano. Il monastero e la chiesa sono da sempre al centro dell'immaginario letterario

Non c'è solo "Il nome della Rosa": in realtà la stagione degli abati e dei manoscritti “dilavati e graffiati” era iniziata da un pezzo.

Un fascino che viene da lontano. Il monastero e la chiesa sono da sempre al centro dell'immaginario letterario

Correva il 1980: molti giovani di allora pensarono per un attimo che fosse iniziata una nuova era, quella del romanzo tutto abbazie, monasteri, castelli e manoscritti perduti. Perché quello era l’anno del “Nome della rosa”, un assoluto long-seller internazionale, che grazie anche alla riduzione cinematografica di Annaud, sei anni dopo, godette di una lunghissima stagione di gloria e incassi, cosa rara per un libro non mainstream, che cioè non seguisse passivamente una corrente dominante, come accade oggi per il poliziesco.

In realtà la stagione degli abati e dei manoscritti “dilavati e graffiati”, come avrebbe scritto un altro che di romanzo al passato se ne intendeva, Alessandro Manzoni, era iniziata da un pezzo. Da tanto lontano che già nei primissimi anni dell’Ottocento ci si permetteva di prendere in giro il genere, come nel caso di Jane Austen e della sua “L’abbazia di Northanger”, che ironizzava sulla moda del ritorno al medioevo che si era già impadronita dei lettori – e, ovviamente, degli autori – da molto tempo.

Una moda iniziata nel 1764 con “Il castello di Otranto” di Horace Walpole, pubblicato in 500 copie, niente male per l’epoca: anche qui, come avverrà con poche eccezioni fino ai nostri giorni, l’autore finge di aver trovato un manoscritto proveniente, come spesso accadeva – pensate ad alcune tragedie shakespeariane – dall’Italia del 1529. Un’altra donna scriverà un ulteriore gothic revival, vale a dire un ritorno alle atmosfere del gotico, anzi più di uno, perché Ann Radcliffe tirò fuori dalla sua feconda fantasia “I misteri di Udolpho” (1794) e, guarda caso, “L’Italiano”, tre anni dopo, che, ancora una volta, trova in un convento italiano, quello dei Penitenti Neri a Napoli, la sua ambientazione.

Non era un caso: era nata una vera e propria corrente letteraria, l’ossianesimo, iniziata con la pubblicazione dei “Canti di Ossian” da parte di Macpherson. Chiese abbandonate, cimiteri notturni, atmosfere cupe, apparizioni, monasteri e castelli avevano dato l’addio al classicismo e iniziato il lungo cammino del romanticismo. Anzi, in breve tempo diventò un genere di consumo, che già la stessa Austen sentì il dovere di prendere in giro. Un’abbazia spagnola è invece l’ambientazione del celebre “The monk”, di Matthews G. Lewis, talmente identificato nel suo romanzo che verrà chiamato Monk Lewis. Anche qui, al di là delle atmosfere tempestose che andavano di moda, era forte la polemica anglicana con quella che era ritenuta la superstizione del cattolicesimo.

Freud avrebbe replicato che in realtà la scelta di vita dei monaci cattolici così lontana dalle fisime della colta ma annoiata alta borghesia inglese attirava nel profondo quegli scrittori. La futura attrazione verso l’esotico, il buddismo, lo sparire nei monasteri orientali viene probabilmente anche da questo fascino non confessabile di una vita completamente diversa e abbandonata all’Altro. Ci vorrà Manzoni per mettere in chiaro alcuni meccanismi non solo letterari, con quei Promessi sposi che narrano come il chiostro possa essere il luogo della finzione, ma anche, come nel caso di fra Cristoforo, di autentico, sofferto, costruttivo amore verso Dio e il prossimo.

Anche Fogazzaro, con “Il Santo”, presenta nel 1905 il convento come luogo di autentico cammino, che spinge Piero Maironi a rinunciare all’antica vita di piaceri e seduzioni per ricominciare da capo nel monastero di san Benedetto a Subiaco. E una straordinaria figura monastica, fuori da ogni regola, la Reclusa che volontariamente si fa murare in una celletta della Tibur dell’XI secolo, è una delle protagoniste della dimenticata “Città murata” (1936) di Igino Giordani. Come si vede, “Il nome della rosa” viene da molto lontano, e il monastero continua ad affascinare, nel modo contraddittorio che abbiamo detto, l’immaginario dei lettori, colti e non.

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Fonte: Sir