Caritas Padova. Gruppo R per il reinserimento dopo lo sfruttamento lavorativo. Ripartire è possibile

Protezione sociale. L’esperienza di Gruppo R che accompagna chi sceglie di denunciare. Nei percorsi di reinserimento emerge il desiderio di mettersi in gioco e di esprimere i propri talenti. «È importante che questi lavoratori non si sentano condannati a essere delle vittime»

Caritas Padova. Gruppo R per il reinserimento dopo lo sfruttamento lavorativo. Ripartire è possibile

La denuncia è il primo passo. Quello più delicato, forse, ma certamente non l’ultimo verso la conquista della libertà per chi è stato a lungo vittima di sfruttamento lavorativo. La cooperativa Gruppo R, che fa parte del Gruppo Polis, è tra i partner padovani del Progetto Navigare della Regione Veneto. «Ci occupiamo dell’accoglienza e dell’inclusione
sociale delle persone dopo la denuncia per attuare con loro un “Programma di protezione sociale”» racconta Andrea
Rigobello. Un viatico, insomma, nel percorso che porta alla conquista di un’autonomia.

«Le persone che abbiamo accolto in questi anni, tutti uomini – prosegue Rigobello – venivano dai campi attorno a Padova dove, attraverso il caporalato, erano oggetto di sfruttamento per i lavori agricoli. È un fenomeno diffuso ovunque: nel Padovano, nel Trevigiano, nel Veronese... anche dove vi sono produzioni importanti e rinomate di vino, frutta e verdura si registrano delle situazioni di sfruttamento». Ma non tutto lo sfruttamento è uguale: «C’è chi “semplicemente” lavora senza contratto perché “si fa così”, a chi invece è di fatto soggetto a un “caporale”, spesso un connazionale, che gli offre vitto e alloggio, che gli trattiene i documenti, che spesso lo ha fatto venire qui dal suo Paese e lo trattiene finché non gli verrà ripagato il debito di viaggio». Uno sfruttamento che appunta rasenta la schiavitù. Individuare questi fenomeni è molto difficile: «Spesso purtroppo emergono solo quando ci sono incidenti, oppure quando qualcuno trova davvero il coraggio di denunciare, rivolgendosi ad avvocati, sindacati e forze dell’ordine, fino al numero verde anti-tratta». Rigobello racconta il recente caso di due giovani arrivati a denunciare il datore di lavoro che si era rifiutato di chiamare un’ambulanza di fronte a un ferimento. Dopo il trauma però si aprono nuove strade, incentrate spesso sul talento personale del lavoratore, non più costretto per forza a svolgere l’occupazione che i suoi sfruttatori avevano deciso per lui: «Nei nostri percorsi di inserimento ciascuno può trovare il modo di esprimersi più consono a loro. Chi ha concluso l’iter è stato assunto all’interno di un’azienda per lo smaltimento dei rifiuti, altri ancora come magazzinieri». Tutte persone, insomma, che hanno una grande voglia di lavorare, e lavorare tanto: «Si mettono in gioco e imparano subito. È importante, però, che diventino consapevoli dei loro diritti, di non essere condannati per forza al ruolo delle vittime in un sistema del quale non vedono i contorni». Molti di questi giovani sono più forti delle avversità: «Un ragazzo solare, arrivato da noi a fine 2019, lavorava nel tessile per pochi spiccioli la settimana. Dopo un’ispezione si è trovato per strada. Prima ha fatto un tirocinio nel vivaismo, finito per il Covid, poi, da solo, ha trovato un impiego come addetto alla sicurezza in un supermercato. È venuto a mostrarci le sue foto in divisa tutto felice. Non si è mai arreso, dal suo percorso ha imparato tantissimo».

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