Confessione in crisi? Lasciamo entrare il Padre

Riconciliazione. Nell’approssimarsi della Pasqua, anche quest’anno viene concesso alle parrocchie – a causa della pandemia – di celebrare il rito nella “terza forma”, cioè con confessione e assoluzione generale. Invitando a prodigarsi per offrire ai fedeli la confessione individuale

Confessione in crisi? Lasciamo entrare il Padre

«Troppo spesso pensiamo che la confessione consista nel nostro andare a Dio a capo chino. Ma non siamo anzitutto noi che torniamo al Signore; è lui che viene a visitarci, a colmarci della sua grazia, a rallegrarci con la sua gioia. Confessarsi è dare al Padre la gioia di rialzarci. (...) Restituiamo il primato alla grazia e chiediamo il dono di capire che la riconciliazione non è anzitutto un nostro passo verso Dio, ma il suo abbraccio che ci avvolge, ci stupisce, ci commuove. È il Signore che, come a Nazaret da Maria, entra in casa nostra e porta uno stupore e una gioia prima sconosciuti:la gioia del perdono. Mettiamo in primo piano la prospettiva di Dio: torneremo ad affezionarci alla confessione».

Così, venerdì 25 marzo in San Pietro, papa Francesco si è rivolto ai fedeli in occasione della celebrazione della penitenza e dell’atto di consacrazione al Cuore Immacolato di Maria. È stato celebrato, in particolare, il Rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione individuale. È la “seconda forma” del Rito della penitenza, dopo la “prima” – dei singoli penitenti – e la “terza forma”, di più penitenti con la confessione e assoluzione generale. Quest’ultima ha “trovato spazio” in tempo di pandemia – e risposta positiva da parte di molti, presbiteri e laici – dato che era difficile confessarsi nella modalità individuale. E ritorna, pur restando una forma straordinaria, anche in vista della prossima Pasqua. Ai parroci della Diocesi di Padova è stata consegnata una proposta di rito e una scheda con alcune precisazioni. Con don Andrea Toniolo, preside della Facoltà teologica del Triveneto – che ha avviato un percorso di ricerca sulla “terza forma” del sacramento della penitenza insieme all’Istituto di liturgia pastorale di Santa Giustina e alla Facoltà di diritto canonico San Pio X – riflettiamo su questo “ritorno”. «La “terza forma” esprime la cura pastorale della Chiesa per i cristiani in un tempo particolare, dove l’esperienza della fragilità richiede segni di attenzione, speranza, incoraggiamento. Come Facoltà teologica abbiamo cominciato a studiare questa prassi lo scorso anno e a maggio torneremo ad approfondire la questione dal punto di vista pedagogico e comunitario».

«La confessione individuale rimane la forma sacramentale ordinaria e ovunque ci si prodighi per continuare a offrirne la possibilità di celebrazione»: così il vicario generale ha scritto ai parroci. Consapevoli di questo, quali sono i punti di forza della “terza forma”?

«Guardando alle esperienze, che anch’io ho vissuto, e alle riflessioni in atto posso dire che un punto di forza è il recupero della dimensione comunitaria della confessione e della penitenza. Nel mondo biblico quest’esperienza è molto presente: nel libro di Giona, ad esempio, una città intera è chiamata a convertirsi; lo stesso vale per la folla che seguiva il Battista. E poi c’è, nella terza forma, il mettere al centro l’ascolto della Parola di Dio. Il testo biblico ha rilevanza particolare nella preparazione, nell’esame di coscienza e nella penitenza. Il cui rinnovamento, auspicato dal Concilio Vaticano II, puntava su questo aspetto, che è carente nella confessione individuale».

E i limiti?

«La “terza forma” è avvertita come colpo di grazia alla confessione individuale e come “scorciatoia”. Personalmente ho constatato, oltre che ampia partecipazione (soprattutto le prime volte), grande raccoglimento e intensità di fede. Certo, la “terza forma” non può essere presentata come sostitutiva o alternativa alla confessione individuale. È complementare. Ne è l’altro polmone. Una può preparare l’altra: aspetto biblico (forma comunitaria) e discernimento (forma individuale) si nutrono a vicenda».

La “terza forma” può aiutare a percepire come più “familiare” la confessione individuale?

«L’esperienza della “terza forma” è un’occasione da non sprecare per riflettere, dal punto di vista teologico e pastorale, sulla prassi penitenziale nella Chiesa. Dal punto di vista giuridico/canonico sarebbe da pensare se, oltre ai casi di grave necessità, non sia da introdurre – senza esagerare – anche in altri momenti dell’anno liturgico, come arricchimento della confessione individuale. In fondo è il Concilio che ha “chiesto” alla Chiesa di avere una pluralità di forme penitenziali che sappiano coniugare dimensione personale e comunitaria. Ecco che l’introduzione della “terza forma” diventa una sfida teologica, canonica, pastorale... Non può portare alla scomparsa della confessione individuale, perché è lì che avviene il discernimento personale. Questa, però, non può essere – nel contesto attuale – l’unica forma ordinaria. Non possiamo abusare della “terza forma”, ma possiamo pensare di celebrarla, anche sganciata dai tempi forti, per dare alle persone un cammino di formazione sul fronte penitenziale e in ordine alla riconciliazione. È questo l’altro aspetto da rivedere: un’educazione penitenziale di tutta la vita cristiana. Va rimossa l’idea sbagliata che la riconciliazione si lega solo all’atto della confessione: è un cammino fatto di gesti e forme pre-sacramentali di penitenza legate all’età e alle forme di vita. Come per l’eucaristia e gli altri sacramenti, la vera sfida di oggi è nella preparazione. Pensiamo, ad esempio, a un camposcuola di adolescenti: il momento della confessione viene proposto sempre, ma più è ben preparato... più i ragazzi la scelgono».

Rischio che si sostituisca alla confessione individuale
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«Nel contesto che viviamo – ha scritto mons. Zatti ai presbiteri – la “terza forma” del sacramento della riconciliazione consente di esprimere e vivere in modo particolare la dimensione sociale e comunitaria della guarigione e del perdono». Evidenzia inoltre un rischio: che possa sostituirsi, nella coscienza di tanti, «al gesto importante della confessione individuale».

La crisi

«La maggior parte dei fedeli non si accosta più, o lo fa raramente, alla confessione individuale. Non sento, però, di dare un giudizio rispetto alla poca fede, piuttosto va rilevato un deficit di inculturazione della prassi penitenziale in questo tempo – evidenzia don Toniolo – Il rinnovamento della penitenza voluto dal Concilio ha introdotto tre forme, conservando la confessione individuale come prima, ma la mentalità pratica del rito – che a volte diventa solo un elenco formale di peccati – non è riuscita a rinnovarsi. Ecco che il sacramento della confessione è in crisi, ma non il bisogno/desiderio di cammini di riconciliazione. Ce lo dice la grande richiesta di sostegno a cui oggi non risponde la confessione individuale».

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