Congregazioni missionarie. Stimolo reciproco per restare aperti al mondo e all’attualità

Congregazioni missionarie. Confronto a tre voci – Comboniani, Sma e Nsa – su cosa sta dando la vita consacrata alla Chiesa di Padova. E su cosa riceve

Congregazioni missionarie. Stimolo reciproco per restare aperti al mondo e all’attualità

Cosa sta dando la vita consacrata alla Chiesa di Padova? E gli ordini religiosi e gli istituti secolari cosa stanno ricevendo dalla Chiesa padovana? Il delegato vescovile per la vita consacrata, don Antonio Oriente, insieme all’equipe diocesana – suor Donatella Lessio (segretaria Usmi), don Paolo De Cillia (segretario Cism) e Dolfina Tecchiato (segretaria Ciis) – hanno avviato una riflessione, supportata dal vescovo Claudio, con lo scopo di approfondire il rapporto la Chiesa locale e la vita consacrata, che ne è parte importante e deve sentirne sempre più l’appartenenza. «La modalità per fare questo – spiega don Oriente – è incentivare la relazione basate sull’esserci, sulla presenza. Ci vuole un confronto che evidenzi sia le ricchezze che le problematiche; un coinvolgimento nella vita diocesana, come con il Sinodo, ma anche una collaborazione fattiva con gli uffici pastorali. Questo può aiutare a valorizzare la presenza della vita consacrata nella Chiesa di Padova». Una prima riflessione è stata avviata in occasione dell’Ottobre missionario, convocando tre voci: i missionari Comboniani, i padri della Società delle missioni africane (Sma) e le suore di Nostra Signora degli Apostoli (Nsa). «Padova è una Diocesi che ha dato e continua a dare molto alle missioni – ha esordito padre Dario Dozio, superiore della Sma di Feriole – Qui si riceve tanto: noi missionari generalmente siamo lontani per diversi anni e abbiamo bisogno di ricaricarci e Padova è un luogo dove ricaricarsi». Arrivati nel 1976 a Feriole per l’animazione missionaria, i padri della Sma, insieme alle suore, fanno conoscere l’Africa con le sue ricchezze e le sue difficoltà e soprattutto, attraverso incontri, proposte, attività tengono viva la passione per la missione, promuovendo i valori dell’accoglienza e del dialogo. «La nostra è una casa-progetto – sottolinea suor Giuliana Bolzan – quasi una sfida con l’accento, sempre, sulla missione ad gentes. Qui cerchiamo di capire come essere di aiuto nel cammino di intercultura, che alle volte ci pare tanto faticoso. Ma la cosa bella è l’apertura e il riferimento alla Chiesa padovana e l’organizzazione solida con un centro missionario che funziona, capace di coinvolgere. Il fatto di potersi mettere al servizio di un territorio che ha già una sua struttura facilita il lavoro. È una Chiesa viva che dà a noi vivacità, una chiesa di grandi santi e di persone poco conosciute che hanno dato tanto: l’esempio di vita è fondamentale. Un pensiero va al Sinodo diocesano e al nostro fattivo coinvolgimento». Le due comunità di religiosi hanno individuato i bisogni del territorio e si sono chieste come portare “missione e intercultura”: basilare è essere presenti, frequentare i diversi gruppi e lavorare con i giovani, aiutandoli a essere meglio inseriti nelle loro realtà ecclesiali. «Quando si cammina con i giovani – ribadisce la religiosa – bisogna aprire a 360 gradi la loro vita per vedere come poi si possono inserire nella struttura della Diocesi. Si cammina insieme con una nota missionaria, aiutando così la Chiesa a rimanere aperta anche alle sollecitazioni di oggi». Questo il compito dei missionari in un territorio che non è di missione nel senso che siamo abituati a intendere. «Questo approccio, prendere cioè coscienza che la missione è ovunque, ci aiuta a mettere i piedi per terra, meno fantasie e più concretezza e quotidianità – spiega padre Dozio – Quello che abbiamo imparato altrove, lo viviamo qui». «Quando veniamo mandati in un luogo – aggiunge suor Bolzan – diamo disponibilità, nel territorio, per la Chiesa locale. Non siamo lì per cercare fondi o aiuti, ma a servizio della Chiesa. È importante aiutare le persone a vivere là dove sono. Qui come in Africa». Obiettivo quindi è aiutare la Chiesa locale a rimanere aperta, attenta ai bisogni dei tempi che cambiano molto velocemente, aiutarsi reciprocamente, stimolarsi. In questo entrano in gioco proprio le attività proposte dalla Sma, in modo particolare quelle dedicate alla Parola per adulti e giovani. I missionari di Feriole hanno dato risposta a un bisogno emerso nel territorio in cui lavorano: trovare uno spazio di silenzio, ma anche di preghiera, di riflessione che sia radicata però nel concreto, nella vita reale. Da qui la proposta della Scuola della parola per adulti quest’anno incentrata sulle figure femminili anonime dei Vangeli e “L’ora di Nicodemo”, un’ora di adorazione e preghiera silenziosa per i giovani. Questa iniziativa è un supporto importante per le parrocchie della zona e non solo.

«Siamo sentinelle alla porta della Chiesa»

«Cosa ci ha dato la Chiesa di Padova? A parte i tanti missionari, persone di sostanza, c’è un tessuto dove senti la “combonianità” – afferma padre Gaetano Montresor, superiore della comunità dei missionari comboniani di Padova – 17 anni fa, quando arrivai qui a Padova, si parlava di commercio equo, finanza etica, consumo critico. Un’attenzione alla società che ci veniva direttamente dalla missione. Oggi noi siamo accolti e questa non è cosa da poco. Padova avrebbe già tutto, anche senza di noi. Potrei dire che non ha bisogno dei comboniani. Però accetta e valorizza la nostra presenza. I comboniani sono in dialogo costante con il vescovo e il delegato per la vita consacrata. Siamo nel cammino di iniziazione cristiana, nell’animazione missionaria delle parrocchie, nel servizio di sostituzione per la celebrazione delle messe e confessioni. Tutto questo ci permette di esserci». L’altro livello in cui sono presenti è l’animazione missionaria culturale che mette in luce la caratteristica propria dei missionari, l’essere cioè persone di relazione che fanno conoscere la cultura della missione cercando occasioni per portare vere testimonianze di vita e di fede. «Momenti di interazione più che integrazione, molto importanti e arricchenti – sottolinea il comboniano – Con l’associazione Popoli insieme abbiamo avviato il gruppo Malankeba per giovani richiedenti asilo e giovani italiani: l’interazione, l’incontro fra persone a livello culturale e anche a livello religioso è basilare. Portare cultura, perché più
si conosce, più si ama, più si vive bene insieme. Il missionario è un ponte a livello religioso, liturgico e culturale e credo che questo sia un aspetto da portare avanti e su cui lavorare insieme». Non solo un ponte che unisce, ma anche
una sentinella capace di tenere aperta la porta della Chiesa e contribuire alla riflessione e, più in generale, alla pastorale nei suoi diversi ambiti. «Due aspetti propri dell’esperienza missionaria vanno presi in considerazione – conclude padre Montresor – Il primo viene dal Sinodo dell’Africa del 1994: se altrove la Chiesa è chiamata vigna, gregge, popolo di Dio noi la chiamiamo “famiglia di Dio” e nella famiglia di Dio ci sono le relazioni. Come fai a relazionarti con la vigna o con la pecora? Con la famiglia hai relazioni di sangue che ti danno una particolarità. Se poi parliamo di “corda del sangue” che lega la famiglia allora c’è la “corda della fede”, e il battesimo diventa quella corda che ti lega in modo familiare e profondo agli altri, al tuo fratello e sorella. Per far questo, ed è il secondo aspetto, non possiamo continuare con le grandi comunità, con le celebrazioni immense. Bisogna pensare a delle piccole comunità ecclesiali che aiutano a crescere più uniti. È quello che succedeva nei gruppetti del rosario del mese di maggio di un tempo, fatti nel quartiere, per la strada. Piccole comunità a sfondo relazionale, per creare relazioni più strette, perché se non c’è relazione non c’è eucarestia».

Vivere la dimensione missionaria

«L’operato delle congregazioni missionarie – afferma Manuela Riondato, collaboratrice apostolica diocesana – cioè aiutare i giovani a essere meglio inseriti nella loro realtà, avere uno sguardo ai bisogni del territorio, riconoscere la ricchezza che abbiamo, metterci in relazione, vivere la dimensione missionaria in cammino con qualcuno che mi è vicino, non è altro che la base del lavoro del Sinodo». L’auspicio è che sempre più la Chiesa di Padova «possa sentire che la vita consacrata appartiene al suo tessuto – sottolinea don Oriente – e che la vita consacrata senta la necessità di abitare i cantieri che caratterizzano la Chiesa nella sua struttura più profonda come la liturgia, la spiritualità, l’evangelizzazione, la carità, l’ecumenismo, la pastorale della salute e quella giovanile. Il segreto sta nella fiducia reciproca che genera comunione e collaborazione. La Chiesa è una e i doni dello Spirito sono per la crescita e la gioia di ogni battezzato».

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