Cucine popolari e senza dimora. Quando la cura passa dall’inclusione

Senza dimora Un convegno, organizzato nell’ambito delle celebrazioni per i 140 anni, ha posto l’attenzione sul diritto alla salute

Cucine popolari e senza dimora. Quando la cura passa dall’inclusione

La tutela della salute è sancita come un diritto dell’individuo dall’articolo 32 della Costituzione, in cui si afferma che la Repubblica «garantisce cure gratuite agli indigenti». Eppure in Italia i senza fissa dimora muoiono al ritmo di quasi uno al giorno: già 289 dall’inizio dell’anno. Perché la cura non è solo una dimensione scientifica e per garantirla servono attenzione e vicinanza. A questo tema la Fondazione Nervo Pasini ha dedicato il convegno “Diritto alla salute delle persone senza dimora”, nell’ambito delle celebrazioni per i 140 anni di attività delle Cucine economiche popolari. L’evento è stato organizzato insieme all’Ordine dei medici di Padova e si è svolto nell’aula Magna dell’abbazia di Santa Giustina il 18 ottobre, festa di san Luca evangelista, patrono dei medici, il cui corpo, secondo tradizione, è conservato proprio nella basilica padovana. L’incontro è stato moderato da Anna Talami dell’ong Medici con l’Africa Cuamm.

Uno specchio per tutti noi
Nel suo saluto introduttivo, il vescovo di Padova, mons. Claudio Cipolla, ha ricordato i suoi due anni come direttore della Caritas diocesana di Mantova, che era responsabile del servizio di accoglienza dei senza fissa dimora. Uno di loro gli diede una poesia, che porta sempre con sé e dice: “Beati i barboni, non hanno illusioni né maschere. Sono lo specchio di tutti noi”. «Ho compreso che la differenza tra loro e me erano le circostanze e che c’è molto di evangelico nel servizio di cura. A volte il garbo con cui ci si rivolge a un ammalato è importante quanto la competenza». Ora il pericolo è che la crisi energetica e l’inflazione facciano aumentare il numero di chi cade in povertà. «Nel recente report di Caritas italiana si fa cenno a persone che entrano ed escono da questa condizione. Ma entrare è rapido, e uscirne è più difficile. I senza dimora sono un appello a una società, che deve accorgersi della loro esistenza».

Una sanità per i più fragili
Una certa preoccupazione per il futuro sotto l’aspetto sociale è stata espressa anche da sindaco di Padova Sergio Giordani, che ha riconosciuto nelle Cucine «un presidio di cui essere orgogliosi, in grado di svolgere compiti che dovrebbero essere della pubblica amministrazione». Lo hanno dimostrato anche durante la pandemia, quando grazie a un accordo con l’Ulss 6 sono riuscite a garantire tamponi e vaccini agli ospiti che li richiedevano, come ha ricordato il direttore Paolo Fortuna, che ha messo l’accento su «l’universalità della sanità, che va rivolta soprattutto ai più fragili, con una medicina non di attesa, ma di iniziativa, perché in questi 140 anni la povertà non è scomparsa, ma ha solo cambiato volto». Il motto della fondatrice delle Cucine, Stefania Omboni, “Amare, operare, sperare”, è quindi quanto mai attuale ed è condiviso anche dalla direttrice generale dello Iov Patrizia Benini, «soprattutto in un periodo come questo, in cui la paura della malattia si innesta in una dinamica sociale molto complessa». Per l’Ordine dei Medici ha portato un saluto il vicepresidente Adriano Benazzato: «La cosa più importante per affrontare la povertà è fare rete, anche perché la marginalità e la povertà scaraventano le persone, anche molti anziani, in una condizione di solitudine».

L’impegno delle Cucine popolari
Ma cosa fanno le Cucine economiche popolari (Cep) per tutelare il diritto alla salute dei senza dimora? Innanzitutto, in 140 anni, hanno trasformato la risposta a un bisogno primario, come il consumo di un pasto caldo, in una palestra di cittadinanza attiva, un luogo di accoglienza, assistenza e promozione della persona in tutti i suoi aspetti, come ha messo in luce Luca Marabese, operatore delle Cep. «L’assistenza sanitaria – ha ricordato – è soltanto uno dei servizi offerti dalle Cucine. Nato alla fine degli anni Ottanta, ha saputo adeguarsi alle diverse situazioni e ai nuovi bisogni. Grazie a un accordo con l’Ulss 6 può prescrivere farmaci ed erogare ricette mediche. Attualmente al Servizio medico delle Cep operano 14 medici volontari, 7 infermieri e 2 farmacisti. Nell’ultimo anno ha fornito 1.526 prestazioni mediche e 557 infermieristiche a 596 persone». In linea con lo stile e gli obiettivi delle Cep, il servizio medico si basa su un approccio «non solo alla malattia, ma all’intera persona», come ha sottolineato il prof. Giuseppe Realdi, coordinatore del servizio. «Nel momento in cui la medicina va dimenticando la sua dimensione umana, le parole chiave per noi sono inclusione, il bene come obiettivo primario e persona». Sull’importanza di fare rete ha messo l’accento anche Lucio Digiannantonio, coordinatore infermieristico Cep, mentre la prof.ssa Patrizia Pontisso, presidente del corso di laurea internazionale di Medicine and surgery dell’Università di Padova ha illustrato gli obiettivi del tirocinio volontario extracurricolare istituito presso le Cep dall’ateneo, che «ha portato benefici a entrambe le parti ed è stato apprezzato soprattutto per la capacità di relazione ed empatia acquisita nel rapporto medico-paziente».

Il diritto e le esperienze
La seconda parte del convegno ha analizzato la questione a partire dall’ambito del diritto, con l’intervento dell’avvocato Marco Paggi, delle associazioni Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) e Avvocato di strada. Una problematica estremamente complessa, che parte dalla differenza tra gli italiani e gli stranieri senza fissa dimora e per questi ultimi, tra regolari e irregolari. Per tutti, ai fini di garantire assistenza sanitaria, si pone comunque il problema di stabilire una residenza. Quello che accomuna la maggior parte delle persone senza fissa dimora, secondo la psicologa e psicoterapeuta Maria Luisa Pontelli, della Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora (di cui le Cep sono socie), «sono le difficoltà dal punto di vista relazionale, legate spesso a vissuti traumatici nell’infanzia. Per mantenere una relazione di cura con queste persone – ha osservato – è necessaria una rete di sostegno». L’esperienza accumulata in questo ambito dall’Associazione nazionale medici cattolici italiani ha permesso di approfondire i diversi pericoli per la salute derivanti dal disagio, per i senza fissa dimora, ma non solo, a cominciare dalla malnutrizione. Il presidente dell’associazione, prof. Filippo Boscia, ha spiegato come «la realtà del disagio incide sulla salute non solo fisica, ma anche mentale». Ma sull’efficacia del percorso di cura incide profondamente anche la dimensione culturale, come ha sottolineato Valentina Zambon, psicologa psicoterapeuta a orientamento etno-sistemico narrativo, che ha messo l’accento sull’importanza delle differenze culturali come ricchezza sociale.

Il potenziale educativo delle Cep
Tutti questi tasselli sul diritto alla salute delle persone senza fissa dimora, hanno composto un mosaico con un significato profondo: «Cosa voglia dire incontrare queste persone, che sono un dono e una grazia». Lo ha sottolineato don Luca Facco, presidente della Fondazione Nervo Pasini, chiudendo l’incontro. Il prossimo evento nell’ambito delle celebrazioni per i 140 anni delle Cucine si terrà il 17 novembre all’istituto Barbarigo con un incontro sulle Cep come laboratorio di umanità, a partire dal Pcto organizzato per i ragazzi delle superiori. «Le Cucine hanno un grande potenziale educativo, che vogliamo condividere con le scuole – ha detto don Facco – Incontrando i senza tetto, ma anche i volontari e i medici, i ragazzi imparano che nella vita si incontra anche l’insuccesso».

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