Domenica Laetare. La “forza” evangelizzatrice del colore antico delle rose

Domenica Laetare Il simbolo della veste che il celebrante indossa l’hanno tessuto per la Chiesa le mani di santa Scolastica, di Agostino, di Giobbe... Quel colore lo hanno donato loro alla Chiesa perché lo donasse a noi

Domenica Laetare. La “forza” evangelizzatrice del colore antico delle rose

Il simbolo della veste che il celebrante indossa nella domenica Laetare lo hanno tessuto per la Chiesa le mani di santa Scolastica – che supplicò il Signore di poter prolungare la felicità di stare con suo fratello Benedetto, pieno di fretta di rientrare in monastero, e fu accontentata perché il Signore scelse di ascoltare «colei che più amò». Lo hanno tessuto le mani di Agostino, che legge il capitolo quarto della prima lettera di Giovanni senza riuscire a smettere, scomponendo la verità – «Dio è amore» – in infiniti echi. Ma lo hanno tessuto anche le mani di Giobbe, scarnificate dalla malattia, annerite dalla cenere, doloranti, vuote di ogni spiegazione plausibile, di ogni enciclopedia da sfogliare cercando la voce “Male”, bisognose solo di ritrovare la propria forma originaria in una carezza. Quel colore antico delle rose, che spacca la pietra del digiuno quaresimale: lo hanno donato loro alla Chiesa perché lo donasse a noi. Ed è più evangelizzatore di tantissime parole il velluto rosaceo delle vesti liturgiche, che mima la tenerezza della nostra carne appena uscita dalle mani del Creatore. Quel colore ardito, misteriosamente parziale, imprevedibile, fiorito all’improvviso in un deserto in cui anche il banchetto dell’Agnello è meno esuberante; l’anomalia benedetta di due giorni soli in tutto l’anno, la quarta domenica di Quaresima e la terza di Avvento. Dell’eroismo del sangue noi non siamo capaci. Conosciamo solo un eroismo minore: commuoverci davanti all’Agnello sacrificato, e amarlo, con tutte le nostre lacrime che stemperano il rosso della Carità perfetta nella dichiarazione di ciò che siamo: carne delicata, bisognosa di conforto, di salvezza, di rugiada. Creature desiderose che il tempo si apra allo stupore della giustizia vera, scesa dalle nubi, perché le rose dell’universo non si disintegrino in polvere e l’uomo non sia così stupidamente peccatore da far diventare la Parola di Dio un rimprovero che rimbomba: «Tu non mi hai dato un bacio”» (Lc 7,45a).

Anna Valerio

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